6. Gli amici de "Il Mondo"
Ciò che rese esemplare e unico il settimanale pannunziano fu senz’altro la collaborazione di uomini di cultura, storici, intellettuali che rappresentarono l’anima laica del nostro paese. Per anni Pannunzio e i suoi amici furono l’uno a fianco dell’altro nella posizione scomodissima di oppositori di due ideologie confessionali. La sua chiusura destò molto scalpore e il mondo politico e intellettuale rese omaggio, in colpevole ritardo, alla fine di questa avventura laica e liberale. Pannunzio e il suo gruppo ebbero così, quel giusto riconoscimento che per anni gli era stato negato. Uno dei ritratti più interessanti su Pannunzio e il suo mondo, è stato dato da Nello Ajello, di cui vale la pena di riportare qualche passo: "Per la generazione di intellettuali maturata nel dopoguerra, il direttore de " Il Mondo " è stato davvero un modello di coerenza. Aveva cominciato a fare il giornalista sulla scia di Leo Longanesi nella redazione di " Omnibus " fra il 1937 e il 1939 a contatto di gomito con Arrigo Benedetti con cui lavorò poi nel settimanale "Oggi" ( soppresso dal regime fascista nel 1942 ) di cui Pannunzio stesso fu direttore. Pannunzio considerava l’aggettivo liberale sinonimo di moderno e perciò i suoi rapporti con il PLI così venato di antichità, erano caratterizzati da periodiche lacerazioni. Riuscì a fare di "Risorgimento Liberale", organo ufficiale del partito, un quotidiano autorevole, un quotidiano dove scrivevano i "liberali alla Pannunzio": Libonati, Panfilo Gentile, Carandini, Cattani. " Il Mondo continua Ajello nacque nel febbraio nel febbraio del 1949 intorno a questo gruppo che poi si allargò a Ennio Flaiano, Vitaliano Brancati e tante altre personalità fra loro diverse ma accomunate da un unico valore: l’antifascismo... il fatto di essere intransigentemente anticomunista in nome della libertà, intransigentemente antifascista in nome dell’intelligenza, intransigentemente anticlericale in nome della ragione dava al settimanale il vantaggio di non avere concorrenti e di scavare un sentiero fra i due grandi blocchi della DC e del PCI. Con quest’ultimo però il gruppo di Pannunzio non ruppe mai i ponti. Queste aperture da parte comunista non disarmavano le diffidenze del "Mondo": esso riuscì però ad evitare prese di posizione persecutorie o maccartiste. Nei riguardi della DC bersagli consueti erano l’influenza del clero, il sotto governo, la scuola confessionale... L’illusione del centrosinistra di cui fu convinto fautore il settimanale fu l’ultima speranza perduta" .
Altrettanto interessante è il ritratto di Valerio Castronovo: "Il settimanale di Pannunzio rappresentò un’esperienza del tutto originale ed unica... "Il Mondo" fu un giornale eretico per antonomasia, per l’indipendenza di giudizio a l’assoluta intransigenza con cui professò le proprie idee ed ebbe la concezione di uno stato laico, fondato sulla "religione della libertà" e aperto all’esigenza di rinnovamento della società civile. Il settimanale divenne un punto di riferimento e di riflessione della vita politica nazionale... al Mondo è stato rimproverato il suo illuminismo monocorde, il moralismo aggressivo, il pedagogismo velleitario. In realtà ciò che generava l’atteggiamento del settimanale era la ferma opposizione sia al massimalismo classista e settario sia all’autoritarismo e all’invadenza confessionale. La sua utopia fu l’ostinata illusione di poter convertire alla ragione di una nuova sinistra liberaldemocratica una borghesia amorfa come quella italiana, chiusa nel guscio dei suoi interessi immediati, all’ombra del clericarismo di palazzo, riluttante a una moderna prospettiva riformatrice... Ma anche nel "Mondo" ci furono diaspore ed errori: dall’atteggiamento favorevole nel ‘53 alla " legge truffa", nell’illusione di poter condizionare la DC, al tentativo di riqualificare il PCI su una linea progressista... Ma Pannunzio ha saputo dare una lezione di impegno civile e di anticonformismo in anni di rozzo ostracismo per il "culturame" e per le verità scomode. Perciò quella di Pannunzio non si può affatto considerare una battaglia perduta" .
Questo il giudizio di Marco Pannella: "Pannunzio è stato grande perchè ha saputo trovare le forme giuste e nuove per difendere le speranze classiche degli uomini e delle donne di questi tempi. Molti coloro che hanno scritto al momento in cui è morto Pannunzio della sua grandezza, erano coloro che si erano preoccupati che questa grandezza non fosse conosciuta dal Paese, che non fosse riconosciuta da coloro in nome dei quali anche Pannunzio parlava".
Infine, prima di passare ai profili degli uomini più illustri degli amici de "Il Mondo", il giudizio di Giovanni Spadolini che fece parte del gruppo pannunziano: "Nello Ajello ha scritto che "un Paese che non ha saputo o voluto affidare a un uomo come Mario Pannunzio un grande quotidiano nazionale, si merita di essere quello che è". Uomo di convinzioni rigidissime, le avrebbe manifestate e fatte valere, nel rispetto altrettanto profondo delle idee degli altri ma senza indulgenza a eclettismi compromissori, a rassegnate polivalenze, ad ammiccanti equidistanze. Lo stile del "Mondo" fu fin dall’inizio uno stile di assoluta e direi aristocratica "unità". Voci diversissime confluirono nello straordinario settimanale..." Uscirà presto a Roma un settimanale politico letterario ritrovo la lettera che mi indirizzò il 24 gennaio 1949 da me diretto: "Il Mondo". Vorrei la sua collaborazione: abbiamo due pagine dedicate alla letteratura, alla storia... il "lei" in poche settimane si convertì in "tu", ma la severità del direttore non si attenuò per questo. Quello che ho poi fatto nel giornalismo italiano lo debbo in larghissima parte a lui, l’amico che ci ha lasciato il 10 febbraio del 1968... Spirito indipendente come pochi, detestava ogni ossequio al potere politico e ogni forma di demagogia. Conosceva il valore di contropotere del giornale, credeva nell’innesto fra giornalismo e impegno civile; non vedeva nessuna antitesi fra la sua azione di militante politico, esponente della sinistra liberale prime e poi leader della secessione radicale, e la sua opera di direttore. Non era per un giornalismo che registrasse i fatti, era per un giornalismo di intervento e di polemica... Credeva in un’ Italia laica, civile e rispettosa di tutte le fedi; detestava ogni clericarismo..., amava dire che la libertà è una passione morale, un’istinto, una forza sentimentale che ha bisogno di essere combattuta per vivere e rafforzarsi... Quando la notizia della morte di Pannunzio fu diffusa, Le Monde commentò: " il suo si era un si, il suo no era un no".
Tra i collaboratori più significativi di Pannunzio ci fu Ernesto Rossi, l’uomo che forse delineò più di tutti il carattere del settimanale pannunziano. Era un uomo difficile, spigoloso, non disposto ai compromessi, anche nei confronti dei suoi stessi amici, il ribelle della vita politica italiana . Altri lo consideravano un ingenuo solo perchè era onesto e vedevano in lui un solitario don Chisciotte. Nato a Caserta nel 1897, Rossi dopo aver partecipato come volontario alla prima guerra mondiale conobbe nel 1919 a Firenze l’uomo decisivo per il suo futuro: Gaetano Salvemini. Oppositore irriducibile del fascismo, fu tra gli animatori di " Giustizia e Libertà ". Nel 1925 fondò insieme allo stesso Salvemini e ai fratelli Rosselli il giornale antifascista "Non Mollare". Nel 1930 venne arrestato a Bergamo per la sua attività clandestina e condannato a vent’anni di carcere. Visse l’esperienza del carcere con una intransigenza ferrea che gli indurì il carattere. Successivamente relegato al confino di Ventotene scrisse nel ‘41, con Altiero Spinelli, il famoso Manifesto da cui trasse impulso l’idea federalista di un’Europa libera e unita e due anni dopo fondò a Milano il MFE ( Movimento Federalista Europeo). Fu sottosegretario nel governo Parri, tra i fondatori del Partito d’Azione e del Partito Radicale . Le sue inchieste sul settimanale pannunziano erano basate sempre sul "cerino acceso della nostra ragione" come lui amava dire e appartengono di diritto alla storia del giornalismo italiano . Il momento migliore, secondo molti, del settimanale pannunziano , fu quello in cui collaborarono Pannunzio e Rossi. Sodalizio che poi si ruppe con reciproco rammarico: " Continuamente ripenso con tanta nostalgia ai tanti anni in cui abbiamo lavorato insieme come due fratelli " . Ernesto Rossi scriveva nel ‘66: " Da quattro anni non sono più collaboratore del "Mondo", ma il mio dispiacere per la fine del settimanale e profondo e sincero ( era il momento in cui chiuse il settimanale ) non posso non ricordare la libertà assoluta di scrivere su ogni argomento quello che volessi e come lo volessi".
Nicolò Carandini fu un altro dei collaboratori illustri di Pannunzio. Figura tra le più importanti del liberalismo italiano, fu uno dei leader della sinistra liberale e fu uno dei massimi esponenti del Partito Radicale. Fermo nella sua convinzione e di assoluta convinzione a ogni commistione e contaminazione fra affari e politica, collaborò al "Mondo" di cui fu anche editore per dieci anni insieme ad Arrigo Olivetti, ma suoi articoli erano già apparsi su " Risorgimento liberale ". Convinto fautore della terza forza destinata a creare una coscienza democratica libera da qualsiasi influenza confessionale, scrisse in una lettera indirizzata al repubblicano Piero Fossi, datata 20 dicembre 1949 di vedere seppellita "ogni possibilità di dar vita a una terza forza...mi pare che tutto vada scivolando verso un impressionante conformismo e credo sempre più nella necessità che almeno noi liberali indipendenti ci riserviamo una onesta possibilità critica e una completa libertà di indirizzo: Proprio per combattere il conformismo...noi restiamo tranquillamente fra gli insofferenti, mantenendo una posizione politica che abbiamo scelto con qualche sacrificio e alla quale, a costo di qualsiasi sacrificio, restiamo fedeli" . Giovanni Ferrara disse di lui: " Avrebbe potuto per la sua posizione sociale, partecipare, al gran mondo del potere; invece preferì le amicizie umane e politiche strette intorno all’idea di libertà". Nominato nel 1944 ministro nel primo Gabinetto Bonomi, lasciò l’incarico dopo pochi mesi per svolgere il ruolo di primo ambasciatore italiano a Londra. A Londra si impegnò in contatti per preparare la prima Conferenza della Pace ( Londra settembre 1947 ) e proseguì nella sua opera diplomatica. Disse di lui Giovanni Spadolini: " Forse in nessun uomo come lui l’eredità del Risorgimento si identificava con una vera visione della vita: non il Risorgimento eroico della leggenda e dell’oleografia, ma il Risorgimento che era apertura dell’Italia all’Europa, riallacciamento dei rapporti con il mondo d’oltralpe, la finestra spalancata su Londra e su Parigi.Il Risorgimento di Cavour, in una parola".
Un altro protagonista del gruppo pannunziano fu Leone Cattani che nel gruppo del "Mondo" più di tutti gli altri fu politico puro, deciso a subordinare alla politica tutta la sua esistenza. Ministro dei Lavori pubblici nel primo Governo De Gasperi ( dicembre ‘45 luglio ‘46 ) aveva un rispetto quasi sacrale per la legge e la legalità e non ammetteva compromessi. Tra i fondatori del Partito Radicale, in gioventù aveva fatto parte dell’azione cattolica, ma ne era uscito quando, di fronte al Fascismo, l’associazione chiese ai suoi iscritti " l’eroismo di rinunciare alle proprie idee ". Antifascista della prima ora, militante della Resistenza nella clandestinità, aveva aderito al Partito Liberale di cui aveva l’idea di un partito fedele ai grandi principi del liberalismo ma aperto ai pressanti e nuovi problemi economicosociali del dopoguerra. Combattè con lealtà sia l’azione del PCI che ogni forma di società segreta, in prima linea la Massoneria. Fu anche consigliere e assessore all’urbanistica al Comune di Roma, incarichi durante i quali portò avanti battaglie contro la speculazione sulle aree ad opera della Società Immobiliare, controllata dal Vaticano. Era insomma un uomo alla Pannunzio, il quale avrebbe fatto di tutto per vederlo a Montecitorio. Ma gli italiani non lo votarono, non apprezzarono il suo rispetto intransigente per le istituzioni e per l’onestà morale.
Nella galleria dei profili di uomini che vissero la stagione de "Il Mondo", non si può non annoverare Franco Libonati. Disse di lui Benedetti: "Era di una formazione storicistica, prudente e scettico, un intellettuale del Sud, una specie di Swann della nostra ricerca politica" .Libonati ebbe una funzione importante sia nel settimanale che nel Partito Radicale. Durante la Resistenza fu uno degli animatori del risorto PLI e condivise con Pannunzio le esperienze di quel periodo tanto buio quanto ispiratore di future speranze.
Quando l’editore Mazzocchi decise di abbandonare "Il Mondo", Libonati stesso assunse la presidenza della nuova società editrice del giornale.
Sul settimanale scrisse articoli di cui la maggior parte riguardavano il tema della censura e della sua abolizione e il finanziamento ai partiti. Già nel 1963 Libonati scriveva: "Se veramente si credesse di poter eliminare, con il finanziamento da parte dello Stato, i finanziamenti di privati, singoli o associazioni, e di enti pubblici, la proposta otterrebbe l’effetto opposto: i partiti, forti del finanziamento dello Stato, troverebbero più facile chiedere o addirittura imporre contributi a privati e a Enti, degradandosi così a strumento per procacciare mezzi finanziari" . Diceva di lui Scalfari: "La sua è un’ "ombra" che rappresenta un inquietante richiamo ad una classe politica sempre più straripante di disinvolti carrieristi "rampanti" e senza ideali" .
Il gruppo pannunziano ebbe infine il gradito apporto di Bruno Villabruna di cui è opportuno parlare per concludere degnamente la carrellata dei "liberali alla Pannunzio". Villabruna, bandiera del liberalismo piemontese, fu eletto deputato alla Costituente, e nel 1948 divenne segretario del PLI. Combattè le venature qualunquistiche del suo partito e l’8 dicembre 1951 fu uno degli artefici della riunificazione liberale fra il gruppo di Pannunzio e il resto del partito. Dopo la successiva scissione della sinistra liberale tentò l’avventura radicale senza rimpiangere il suo vecchio partito sempre più incline a ideali e azioni politiche conservatrici.
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