MALPENSA: A TICKET TO NOWHERE

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 22 del 16 luglio 1998]

[articolo di Andrea Bonanni del Corsera pubblicato il 29 giugno 1998 su Italy Today, supplemento del quotidiano globale International Herald Tribune]

Nel 1839 i borboni, che non erano precisamente un modello di efficienza amministrativa e soprattutto non ambivano ad “entrare in Europa”, impiegarono poco più di un anno a costruire la prima ferrovia italiana, che collegò Napoli a Portici. Un secolo e mezzo più tardi non sono bastati 13 anni per finire i 50 km di collegamento ferroviario tra Milano e l’avveniristico aeroporto di Malpensa 2000, un progetto lanciato nel 1985 dal governo di Craxi. Così adesso per l’insipienza di campanilistiche dispute di bottega tra Roma e Milano, la Commissione europea ha deciso di vietare il trasferimento in blocco dei voli da Linate al nuovo scalo, previsto per il 25 ottobre prossimo da un decreto del ministro dei trasporti Burlando.

Non si può aprire un grande scalo internazionale da 24 milioni di passeggeri all’anno senza uno straccio di metropolitana che lo colleghi alla città che deve servire, senza una rete autostradale adeguata e un sistema di trasporti pubblici efficiente, dice in sostanza Brussels. Il fatto che queste ovvietà ce le debbano spiegare da Brussels è, oltre che dannoso, francamente umiliante. C’è voluta una telefonata di Prodi al commissario europeo dei trasporti, Neil Kinnock, per convincerlo a cercare una soluzione amichevole per un trasferimento graduale dei voli da Linate a Malpensa, trasferimento che verosimilmente prenderà qualche anno, visto che il completamento delle strutture di trasporto, stando al documento della Commissione, non sarà terminato prima del 2003-2005.

Il progetto Malpensa 2000, costato 2.000 miliardi oltre a mille per i collegamenti, è uno dei rari investimenti infrastrutturali italiani in grado di aumentare la nostra competitività economica sul mercato europeo in un momento in cui la moneta unica rende più feroce la concorrenza tra i sistemi-paese. Nel documento approvato dai capi di governo dell’Unione al vertice di Corfù del 1994 si dice che il nuovo aeroporto “creerà direttamente 6.000 posti di lavoro permanenti, mentre l’impatto indiretto è stimato in 12-18mila occupati” e che perciò costituirà “un fattore essenziale per il futuro progresso economico”. Perciò fu inserito tra i grandi progetti prioritari dell’Unione e finanziato dalla Banca europea degli investimenti. Ma nello stesso documento si scrive che “il collegamento ferroviario previsto tra l’aeroporto e il centro città consentirà tempi di percorso relativamente brevi” e che “l’interconnessione di modi di trasporto terrestri (treno ad alta velocità, ferrovia tradizionale, trasporto combinato su strada) e modi di trasporto aerei” creerà “catene di trasporto altamente efficienti per i passeggeri e le merci”.

Per l’ennesima volta gli europei ci avevano presi sul serio. Invece, secondo il decreto Burlando, Malpensa 2000 dovrebbe entrare in funzione senza una ferrovia rapida che la colleghi a Milano, con un unico raccordo autostradale già ipercongestionato e su cui si prevede, solo adesso, di aprire i lavori per una corsia di emergenza a partire da ottobre. Così anche il super-aeroporto rischia di aggiungersi al triste elenco delle occasioni perdute e delle inutili cattedrali nel deserto che caratterizza la storia della pubblica amministrazione italiana. E a questo forse col tempo si potrà rimediare, ma va anche ad allungare la lista delle promesse mancate, degli impegni non mantenuti sul tavolo europeo: questo ennesimo colpo alla nostra credibilità possiamo solo incassarlo e stare zitti. Certamente adesso qualcuno dirà che la Commissione, bloccando il big bang di Malpensa 2000, fa gli interessi dei grandi aeroporti tedeschi e francesi che avrebbero sofferto della concorrenza del nuovo super-scalo milanese. Ma la responsabilità della schizofrenia italiana non è di Parigi, né di Bonn e neppure di Brussels. E’ nostra. Un grande aeroporto senza collegamenti non è Europa. Un’infrastruttura che moltiplica costi e disagi per gli utenti non è Europa. Una ferrovia che in 13 anni non riesce a coprire 50 chilometri non è Europa. Che bello se non fosse neppure Italia. Invece purtroppo lo è.

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