Da circa dieci anni ormai il cosiddetto “Unabomber”, il misteriosissimo micro-dinamitardo che cela i suoi dispositivi esplosivi nelle confezioni apparentemente innocue dei prodotti di largo consumo in vendita nei supermercati, faceva impazzire gli inquirenti che non riuscivano a dargli un nome e catturarlo. Neppure la sofisticatissima mente del criminologo numero uno era riuscita a venire a capo del caso, l’unico che Roberto Granzotto non avesse ancora risolto e che perciò lo tormentava tanto. C’era stato un tempo, sei anni prima, dopo il decimo attentato, in cui Granzotto credeva di avercela fatta. Tutto sembrava quadrare, o per meglio dire tutto sembrava ruotare attorno ad un individuo fortemente indiziato, al quale Granzotto era risalito studiando minuziosamente i dettagli degli attentati. I primi due ebbero luogo nel 1993 ad Aquileia e Latisana, lungo la stessa autostrada che passava da Portogruaro e sul cui monotono, rettilineo tracciato la polizia stradale aveva fatto diverse multe per eccesso di velocità ad un automobilista alla guida di una potente Volvo. Gli avvistamenti del bolide lanciato sulla corsia di sorpasso, e date e orari delle relative multe, coincidevano con gli attentati. Qualche infrazione al codice della strada non bastava però per incastrare il portogruarese Armando Dreon, appena rientrato dalla Svezia dopo avervi trascorso vent’anni a lavorare nell’industria pornografica, ma bastò ad attirargli forti sospetti e a farlo mettere sotto stretta e discreta sorveglianza. Dreon si dimostrò subito un tipo intraprendente, deciso a darsi alla politica nelle file dei radicali friulani, che cominciò a frequentare assiduamente l’anno successivo, il 1994, quando gli attentati si spostarono con lui nel pordenonese. Il 12 marzo nel capoluogo, il 21 agosto a Sacile, il 17 dicembre ancora a Pordenone e il giorno dopo ad Aviano: in tutte queste occasioni Dreon viene visto nei paraggi, talvolta filmato dalle telecamere a circuito chiuso dei supermercati colpiti. Stessa storia nel 1995. Dreon continua la sua attività politica partecipando a riunioni radicali in coincidenza delle quali avvengono esplosioni negli stessi luoghi: il 5 marzo ad Azzano X, il 30 settembre e primo ottobre nuovamente a Pordenone. Nell’agosto del 1996, Dreon è in vacanza al mare quando “Unabomber” colpisce a Bibione e Lignano. Per l’opinione pubblica è troppo, l’industria turistica teme la fuga dei tedeschi, la polizia sotto pressione non ha prove ma ha un capro espiatorio: Dreon viene arrestato con grande clamore e condannato in tutta fretta a dieci anni di galera. Per dimostrare la sua innocenza non gli resta che sperare che il vero colpevole colpisca ancora e presto, ma questi se ne guarderà bene, trattenendo il suo implulso dinamitardo per confermare la colpevolezza di Dreon e rimanere impunito mentre si placano le acque e il caso viene archiviato.Ma Granzotto non è per niente impressionato. Una tecnica simile era già emersa nel caso del mostro di Firenze e in tanti altri: è tipica delle menti criminali che colgono l’opportunità per fermarsi per un po’, consapevoli di averla fatta franca per un pelo fino a quel momento. Granzotto è un raffinato criminologo che non deve affannarsi ad accontentare il popolino con un capro espiatorio. Sa che Dreon è innocente, ma non può provarlo, e invero non ne è neppure ansioso: “uno che guida così” - ragiona Granzotto - “tutto sommato è meglio che stia in galera”.

Passati quattro anni, però, nel 2000 Dreon viene rilasciato in libertà provvisoria per buona condotta grazie ad un bravo avvocato liberale veneto, un tale Beppi Lamedica conosciuto anche, per via del suo aspetto luciferino, come l’Ignazio La Russa di Riese Pio X. Tra i due scocca subito una scintilla di amore e odio in una intensa relazione che si estende oltre gli aspetti di consulenza professionale in relazione al caso, per trascinarli entrambi nel vortice passionale della politica. Con Dreon anche Granzotto e talvolta perfino il capitano De Stefano partecipano ogni mercoledì alle riunioni di Veneto Liberale nel ristorante “Anita” di Castelfranco, ascoltando l’Ignazio La Russa di Trebaseleghe scatenare la sua arte retorica in auliche orazioni che ipnotizzano gli astanti. Ma come se una maledizione lo perseguitasse, al rilascio di Dreon coincide la ripresa degli attentati: il 2 marzo a San Vito al Tagliamento, il 6 luglio ancora a Lignano in piena stagione estiva, il 7 novembre proprio a Portogruaro, e un anno dopo a Motta di Livenza, di poco dentro la provincia di Treviso. Tutto sembra puntare ancora contro Dreon, ma Granzotto non è per niente convinto. All’indomito segugio del Piave non tornano i conti: se infatti fosse Dreon il colpevole, dovrebbe recarsi nei supermercati oggetto degli attentati il giorno prima per sostituire la merce con i suoi ingannevoli ordigni, ma non il giorno stesso. Dreon invece arriva quasi sempre poco prima o poco dopo l’esplosione e paradossalmente sembra perfino fortunato nel non rimanere ferito egli stesso come vittima, più che come esecutore, considerata la frequenza di sistematica coincidentalità nel trovarsi presente o nei paraggi ad ogni esplosione. La polizia brancolando nel buio non cava un ragno dal buco nell’acqua in cui non sa che pesci pigliare, e anche Granzotto è piuttosto perplesso: come un supercomputer il suo cervello non si da tregua, ma neppure la sua intelligenza superiore riesce a risolvere il mistero. Giacché è innegabile che, sia pure innocente, ma in tutta la vicenda Dreon deve per forza c’entrare qualcosa.

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