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VI. - PUNTI PROGRAMMATICI
D) ECONOMIA
Sommario: Fine, metodo e volonta' - Miseria - Il problema immediato: solidarieta' - Sette punti - 1) Pulizia delle imprese di Stato - 2) Libero mercato - 3) Lotta contro i monopoli - 4) Pulizia del sistema tributario - 5) Investimenti - 6) Agricoltura: proprieta' e produttivita' - 7) Azionariato industriale - Antidogmatismo.
FINE, METODO E VOLONTA'
Nel campo dell'economia s'incontrano difficolta' notevoli ma non insuperabili se: a) vi e' un'idea chiara del fine da raggiungere; b) vi e' un'idea altrettanto chiara del metodo con il quale raggiungerlo; c) vi sono la volonta' d'agire e l'appoggio della popolazione. Per il fine da raggiungere, i radicali ne hanno uno solo: il maggior benessere del maggior numero possibile dei cittadini senza preconcetti classisti, con il fine di promuovere l'autonomia del singolo. Non importa se si tratta di piccola borghesia o di proletariato, di lavoratori agricoli o industriali: tutti hanno diritto al benessere. Per cio' che riguarda il metodo, occorre riconoscere la complessita' del fenomeno economico e rigettare incondizionatamente qualsiasi posizione dogmatica. I problemi variano; variano anche le soluzioni da darsi ai problemi. In nome dei santi canoni del liberismo, si sono avute per due secoli crisi economiche rovinose per i salariati come per i capitalisti, e che con un po' di senso comune, di ragionamento critico e di buona volonta' si sarebbero potute evitare. I radicali sono in favore del possesso privato della proprieta' perche' vedono in esso una garanzia della liberta' del singolo: ma questo non vuol dire che non vi debbano essere limiti al diritto di proprieta' e che in particolare non si debba intervenire quando esiste una situazione come quella italiana in cui pochi hanno troppo e troppi hanno poco o niente. In un altro campo, essere in favore, di un'economia di mercato non vuol dire che tutta l'economia debba rientrare nell'ambito del mercato libero. Liberta' economica non significa l'anarchia predicata dagli economisti "classici" del 19ø secolo, significa invece il libero sviluppo delle attivita' economiche nell'ambito di leggi che regolano tale sviluppo. In politica abbiamo imparato che liberta' non e' anarchia, che non vi e' liberta' senza leggi; in economia dobbiamo ancora, a quanto sembra, impararlo. Onestamente, o compiendo - come spesso avviene - un ragionamento sbagliato, conservatori e collettivisti sono per i dogmi economici. Qualsiasi dogma e' un nemico: occorre essere liberisti quando i migliori risultati dal punto di vista del benessere di tutti, vengono ottenuti lasciando che le forze economiche agiscano per conto proprio (l'Italia non sarebbe ritornata nel 1948, dopo una guerra che aveva distrutto quasi un terzo della ricchezza del paese, al livello di produzione del 1938 se non fosse esistita allora una dose abbondante di liberismo); occorre essere dirigisti quando i migliori risultati vengono ottenuti regolando, stimolando o reprimendo, le forze economiche; va bene essere privatisti quando l'iniziativa e la gestione privata danno i migliori risultati; va bene pure essere statalisti quando l'iniziativa e la gestione dello Stato danno risultati migliori. Ogni problema economico ha una sua soluzione. L'economia e' un eterno purgatorio in cui non avvengono miracoli ed in cui meno che altrove puo' trovare applicazione quel dogmatismo semplicistico che caratterizza il pensiero della maggior parte dei docenti di economia. Ne' occorre vergognarsi di dire che qualsiasi progetto di riforma economica deve essere esaminato alla luce dei risultati, e che se i risultati non sono soddisfacenti, vuol dire che il progetto era sbagliato, che il concetto al quale il progetto si ispirava era un cattivo concetto, e che se ne deve trovare un altro.
MISERIA
In Italia c'e' miseria e c'e' disoccupazione, l'una e l'altra piaghe dolorose per chi ne soffre, vergognose per tutti gli altri. Dato che i problemi ci sono, occorre cercarne la soluzione. Non li ha risolti il liberismo dell'era pre-fascista, ne' il corporativismo fascista: non li risolve il neo-mercantilismo di oggi. Dato il debole ritmo di espansione delle economie collettivistiche e la difficolta' che vi sarebbe di applicare in Italia i metodi brutali e spietati sovietici, non li risolverebbe il collettivismo. Per risolverli la cosiddetta riforma di struttura e' assolutamente insufficiente. Ci vogliono immaginazione e coraggio, cioe' occorre lanciarsi allo sbaraglio (anche se confortati dal successo di esperienze simili) di nuovi tentativi e di nuove iniziative.
IL PROBLEMA IMMEDIATO: SOLIDARIETA'
L'azione esercitata sull'industria e l'agricoltura non puo' dare risultati che dopo un certo periodo di tempo. Si tratta di anni. Ma la miseria non puo' aspettare anni. "E' terribile" - dicono i benpensanti a cui fanno coro amici stranieri onestamente preoccupati da cio' che avviene in Italia - "che vi siano sei milioni di comunisti". Di chi la colpa, se non di coloro che costituiscono oggi la classe dirigente italiana, politica ed economica? Non e' certo l'intelligenza di un funzionario moscovita come Togliatti, che ha fatto del partito comunista italiano il secondo nel paese per forza numerica e, fino a poco fa, quello dotato di maggiore coesione interna. Fra i sei milioni che votano per la falce ed il martello, ve ne e' forse uno su venti al massimo che possegga un concetto marxista-leninista della vita e dei suoi problemi. Gli altri diciannove sono uomini e donne che hanno fame, che soffrono il freddo, che vivono in grotte o in stalle o in interrati, la cui vita e' una disperazione dal momento in cui nascono al momento in cui muoiono; sono anche altri uomini e altre donne che non hanno fame essi stessi che non sentono il freddo, ma provano una profonda e giusta pieta' per coloro che hanno fame e che sentono freddo! Il comunismo italiano e' il frutto dell'egoismo, della avidita' e della rapacita' di pochi che sostenuti ed organizzati da un clero che per difendere il suo privilegio ecclesiastico deve difendere il privilegio economico che lo sostiene, vogliono godersi la vita a spese degli altri, non provano sentimenti di solidarieta' o di fratellanza, disprezzano le masse, trattano come servi i lavoratori, irridono alla miseria. Data la situazione occorre da una parte far uscire dalla miseria quelli che vi intristiscono, fornendo loro: a) lavoro; b) un'abitazione decente; c) un minimo vitale adeguato alle possibilita' dell'economia italiana. Questo significa una politica dei lavori pubblici che faccia per l'Italia quello che la politica di Roosevelt fece per gli americani ventiquattro anni fa. Questo significa pure effettuare quella politica di redistribuzione del reddito di cui si e' gia' parlato. Occorre d'altra parte reprimere il lusso e l'ostentazione dei ricchi, con imposte proporzionali che facciano per i redditi elevati quello che le imposte fanno negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, con tasse di successione che provocano lo sfaldamento delle grosse fortune (come avviene nei paesi anglo-sassoni), con una politica di austerita' che tolga dalla circolazione pellicce ed automobili di lusso, che faccia chiudere quei locali pubblici la cui presenza e' un insulto a chi non riesce a dare due pasti al giorno ai figlioli, che proibisca la costruzione di ville e appartamenti sontuosi. Se paesi civili come l'Olanda, la Nkrvegia e l'Inghilterra hanno potuto seguire una politica di austerita', non vi e' nessuna ragione che la medesima politica non venga seguita anche in Italia. Non verranno turisti stranieri, si dice. E' falso: l'austerita' non ha danneggiato il traffico turistico nei paesi in cui e' stata applicata; anzi ha destato ammirazione, simpatia e solidarieta', ha attirato una massa di visitatori.
SETTE PUNTI
Lo Stato, anche in regime di collettivismo integrale, non e' - per quanto importante - che uno degli elementi che influiscono sullo sviluppo delle attivita' economiche; puo' stimolare e puo' reprimere, puo' anche creare; ma difficilmente riesce a modificare l'atteggiamento dei cittadini e i valori morali (dignita' di lavoro, operosita', iniziativa, ecc.) da cui, non meno che dalle risorse naturali, o dalla disponibilita' di capitale, dipendono il benessere o la mancanza di benessere. Quel tanto di riorganizzazione dell'economia nazionale da effettuarsi a mezzo dello Stato (sempre tenendo presente che i miracoli li fanno, se li fanno, i santi e non l'economia) puo' essere riassunto in sette punti principali.
1) PULIZIA DELLE IMPRESE DI STATO
Il primo lavoro da compiere, quello che rientra per sua natura nelle funzioni dello Stato, riguarda la distinzione netta e precisa tra economia privata ed economia pubblica e la sistemazione di quella stalla maleodorante che sono ormai gran parte delle imprese che direttamente o indirettamente sono gestite dallo Stato, sia che appartengano totalmente o solo in parte allo Stato stesso. I piu' ignorano che di tutti i paesi ad economia non collettivista, l'Italia e' forse quello in cui si ha la massima percentuale di imprese nazionalizzate. E' questione secondaria se questo sia un bene o un male. C'e' una situazione di fatto. Le imprese pubbliche che si occupano non solo di trasporti e di comunicazioni, ma anche di credito, industrie, miniere ed agricoltura, ci sono. Alcune sono efficienti; la maggior parte sono inefficienti, e vengono condotte con criteri tipici dell'era pre-industriale. Molte imprese che appartengono allo Stato, ed alcune fra le piu' importanti, sono fonte di corruzione finanziaria e politica: costituiscono ormai feudi di questo o quel gruppo del partito di maggioranza e ne sovvenzionano le attivita'. Dieci secoli fa il signore che doveva soddisfare un suo dipendente o acquetare un avversario gli dava un pezzo di terra, adesso i dirigenti del partito al potere danno posti nelle aziende nazionalizzate a candidati la cui qualifica non e' la competenza ma il vantaggio politico che puo' dare a chi gli ha concesso il beneficio. Molte imprese sono parassitarie ed invece di avvantaggiare l'economia, la deprimono. Ci vuole del coraggio per accingersi alla pulizia delle imprese di Stato. Ma e' indispensabile farlo se vogliamo uscire dalla corruzione che sta distruggendo la fibra morale di gran parte della nazione e dell'asservimento a cui sono condannati quanti per una ragione o per l'altra cercano un impiego presso le aziende pubbliche; e' indispensabile soprattutto se si vuole passare dall'inefficienza all'efficienza. Le imprese parassitarie, in particolare, devono essere abolite, sviluppando allo stesso tempo le imprese economicamente sane si' che queste possano assorbire la mano d'opera resa disponibile.
2) LIBERO MERCATO
Nel settore privato dell'economia, occorre far si' che funzioni il libero mercato. Corporativismo e neo-mercantilismo sono ugualmente dannosi. L'esperienza degli ultimi secoli ci mostra che un'economia integralmente privatista e liberista va soggetta a fluttuazioni tali e porta ad una tale tensione fra datori di lavoro e lavoratori da mettere in pericolo le istituzioni della democrazia liberale. D'altra parte i vantaggi della libera iniziativa e della concorrenza quali si svolgono in un libero mercato sono reali. Ne' meno reale e' l'importanza del libero mercato nel determinare prezzi e costi, profitti e salari. La tentazione di voler tutto regolare e controllare e' forte. Sembra cosi' semplice! Quando qualcosa va male, lo Stato interviene: si dimentica che per passare da un livello basso di attivita' economiche ad un livello elevato, e' necessario che qualcosa vada male, che falliscano imprese non produttive e incapaci di aggiornarsi al progresso della tecnica; ed e' da sciocchi pensare che un piano economico puo' tener conto di tutto cio' che avviene nell'economia, tutto prevedere e tutto sistemare. Occorre sperimentare, tentare, correre rischi. Funzione dello Stato puo' essere il creare l'ambiente in cui le esperienze possono aver luogo; funzione dello Stato e' indubbiamente intervenire per aiutare coloro che restano indietro in quella gara di resistenza che e' l'economa moderna. Ma e' un grave errore intervenire sussidiando per esempio un'agricoltura condotta in molte regioni ancora con i metodi dei secoli passati o assicurando la sopravvivenza di fabbriche che dovrebbero essere chiuse. Dopo aver seguito l'utopia dei socialisti della prima meta' del diciannovesimo secolo, anche i collettivisti russi si sono accorti che l'impresa economicamente utile e' quella che riesce a fare un profitto; ed i collettivisti polacchi stanno cercando, con poco successo, di ristabilire una economia di mercato ed un mercato libero all'interno del loro collettivismo. Al settore pubblico dell'economia si chiede di essere il meno possibile burocratico; al settore privato, che potra' essere quello che sia, il 60 e l'80% di tutta l'economia, si chiede di essere e di rimanere libero.
3) LOTTA CONTRO I MONOPOLI
Sono passati quasi settant'anni da quando gli Stati Uniti, il paese tipico oggi dell'economia privatista, hanno adottato la legislazione contro i monopoli economici. In Europa ancora ne discutiamo. Gli americani avevano identificato nel monopolio il nemico non solo della liberta' economica, ma anche dell'economia privata. Il monopolio distrugge l'economia di mercato; concentrando la ricchezza nelle mani di pochi porta o al fascismo, se i possessori di capitale s'impadroniscono dello Stato, o al collettivismo se prendono il sopravvento coloro che sono esclusi dal possesso del capitale. Non vogliamo fascismo, anche se camuffato da clericalismo; non vogliamo collettivismo: dobbiamo percio' distruggere i monopoli privati (e limitare rigorosamente il raggio d'azione dei monopoli pubblici). Per rompere il monopolio privato si possono seguire principalmente due vie: 1) costringere per legge il monopolio a scindersi (come viene fatto negli Stati Uniti); 2) creare a mezzo dell'iniziativa pubblica un concorrente (cosa fatta anche questa dagli americani quando per iniziativa federale una vasta zona venne rifornita di energia elettrica ad un prezzo inferiore a quello che veniva chiesto dai produttori privati). In relazione ai monopoli privati sorge il problema delle attivita' in cui l'iniziativa e la gestione statale sono preferibili all'iniziativa ed alla gestione privata. Centottanta anni fa colui che viene ancora oggi ritenuto il massimo campione del liberalismo economico scriveva che la' dove faceva difetto l'iniziativa privata o dove si trattasse di attivita' che interessavano in modo particolare tutta la nazione, era giustificata l'azione dello Stato. Certo non vogliamo essere piu' liberisti di Smith! I radicali di mezzo secolo fa, in Francia e in Inghilterra, ritenevano che tutto cio' che fosse comunicazioni (ferrovie, strade, posta, telegrafo, ecc.) dovesse essere sottratto all'iniziativa privata: faceva parte della cornice entro cui l'iniziativa privata puo' svolgere la sua attivita'. Nell'economia piu' sviluppata e piu' complessa di oggi, spetta allo Stato di assicurare lo sviluppo di un altro elemento fondamentale, l'energia. Il problema dello sviluppo industriale e' in gran parte il problema dell'approvvigionamento di energia; possiamo essere sicuri che se vi e' energia disponibile, non verra' sprecata, che sorgera' presto la fabbrica per utilizzarla. La situazione italiana e' particolarmente preoccupante, data la mancanza o scarsezza di combustibili sia solidi che liquidi (puo' darsi che si troveranno importanti giacimenti di petrolio, per adesso certo non ve ne e' un gran che), data la quasi totale utilizzazione gia' delle risorse idriche. Come, e ancor piu' dell'Inghilterra, e' esclusivamente indispensabile per l'economia italiana, affrontare rapidamente il problema dell'utilizzazione di nuove fonti di energia, in primo luogo naturalmente l'energia nucleare. Qui vi e' un campo di attivita' statale che non ammette dilazioni.
4) PULIZIA DEL SISTEMA TRIBUTARIO
Si parla sempre di riforme del sistema tributario: si fa qualche modifica qua e la' per il resto si lascia correre. Occorre in primo luogo applicare tre principi fondamentali: a) semplificazione; b) equa ripartizione; c) ridistribuzione del reddito. Ci sono troppe tasse, troppe imposte, troppi balzelli diversi; le spese di riscossione sono troppo elevate. L'evasione fiscale e' un'abitudine (alcuni potrebbero dire che nell'attuale sistema e sotto l'attuale regime, e' una necessita'); il falso e' accettato come fatto di ordinaria amministrazione. Si dice che non si puo' modificare il carattere di una nazione. Si dimentica che il carattere di una nazione riflette quello della sua classe dirigente. Questo e' uno dei tanti motivi per cui e' l'indispensabile eliminare dalla direzione della cosa pubblica gli attuali dirigenti corrotti e corruttori. Semplificando il sistema dei tributi, se ne puo' semplificare l'amministrazione e renderla piu' efficiente. Occorre diminuire le imposte indirette che gravano su quelli il cui reddito e' minore ed aumentare le imposte dirette, applicando una progressivita' che non dovrebbe essere inferiore a quella che vige negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. La giustizia fiscale non sta nel fatto che chi ha mezzo milione paghi cinquantamila lire e chi ha cinquanta milioni di reddito ne paghi cinque; ma chi ha mezzo milione non deve pagare niente, direttamente o indirettamente che sia, e chi ha cinquanta milioni di reddito ne puo' pagare trenta o quaranta (in Inghilterra ne pagherebbe quarantacinque). Negli Stati Uniti fin da quando vennero fondati e in Inghilterra durante gli ultimi decenni, il sistema tributario e' stato usato consapevolmente per arrivare ad un ripartizione dei redditi piu' equa di quella che si ottiene in base alla partecipazione di ognuno al processo economico. Lo stesso occorre che venga fatto in Italia, dove la situazione per cio' che riguarda la sperequazione dei redditi, e' infinitamente piu' grave.
5) INVESTIMENTI
In qualsiasi economia, l'aumento della produzione e' in funzione, tra altri fattori, dell'ammontare del capitale investito. In una situazione come quella italiana, sarebbe assurdo affidare esclusivamente all'industria il compito di procedere agli investimenti. L'intervento dello Stato e' necessario: a) per evitare che il settore privato dell'economia proceda ad investimenti non produttivi; b) per limitare dove sia possibile i consumi voluttuari (politica di austerita') si' da avere capitali disponibili da investire nelle attivita' produttrici; c) per favorire, nella misura in cui non provochi un'inflazione, la creazione di credito da usarsi sia nel settore privato che nel settore pubblico dell'economia. Gli investimenti non produttivi sono per esempio quelli dedicati all'erezione di ricchi edifici religiosi, di ville sontuose, di automobili di lusso, ecc. Alla necessita' morale oltre che economica di una politica di austerita' e' stato gia' accennato. In quanto al credito, sarebbe un vantaggio essere prudenti senza essere troppo timorosi, tenendo conto che se una maggiore produzione segue a breve scadenza la creazione di credito, non si verifica un'inflazione. Il prezzo del denaro in Italia e' troppo elevato e frena mille iniziative che potrebbero contribuire ad aumentare la produzione e a stimolare i consumi.
6) AGRICOLTURA: PROPRIETA' E PRODUTTIVITA'
All'Italia e' mancata la riforma agraria che i francesi effettuarono nel 1789, che gli americani favorirono con una serie di atti legislativi che risalgono fino al 1785. Si e' mantenuto invece in Italia attraverso i secoli, incancrenendosi e diventando piaga, il sistema sviluppatosi durante gli ultimi duecento anni della repubblica romana, basato sulla netta differenziazione tra chi possiede la terra e chi la coltiva. Occorre distinguere i problemi nettamente economici della produttivita' e del reddito agricolo dal problema sociale che li precede e che puo' essere risolto democraticamente solo abolendo la distinzione fra le due caste, i proprietari ed i contadini, per arrivare invece ad avere una classe unica di agricoltori. A poco servono le riformette effettuate a denti stretti e che minacciano di creare un proletariato di minuscoli possidenti, pronti a gettarsi per disperazione nelle braccia o di fascisti o di comunisti; a poco servono lunghe discussioni su cause che possono essere economicamente ingiuste anche se sono socialmente giuste. A parte un concetto vasto e generoso di riforma agraria, si puo' arrivare all'eliminazione dei proprietari con il metodo assai semplice adottato in Inghilterra della pressione tributaria (imposta progressiva sul reddito e tassa di successione) e rendendo accessibile a gruppi sempre piu' numerosi di agricoltori il credito a basso interesse. Il problema della produttivita' richiede per la sua soluzione: a) la continuazione e l'intensificazione di quelle opere di miglioria che gia' hanno trasformato l'aspetto di gran parte dell'Italia agricola; b) la formazione di efficienti associazioni di agricoltori capaci di agire come cooperative di produzione; c) la diffusione dell'insegnamento della tecnica agricola. Il problema del reddito degli agricoltori non puo' essere risolto che in parte con la maggior produttivita' e con il trasferimento di quote padronali di reddito ai coltivatori; la vera soluzione non la puo' dare che l'industrializzazione del paese e la riduzione del numero degli addetti all'agricoltura, numero eccessivo oggi in rapporto alla superficie coltivata e coltivabile.
7) AZIONARIATO INDUSTRIALE
Una societa' in cui non esistano che lavoratori proprietari (in cui tutti i lavoratori partecipano personalmente al possesso dei mezzi di produzione) e' indubbiamente un'utopia. Cio' non vuol dire che non si possa procedere per un lungo tratto su quella via, come e' avvenuto negli Stati Uniti dove non meno di un terzo della popolazione partecipa al possesso di capitale agricolo o industriale e dove, oltre a quattro milioni di proprietari di piccole aziende industriali e commerciali condotte generalmente dal proprietario stesso, non meno di nove milioni di famiglie partecipano al possesso delle societa' per azioni. Alla formula conservatrice della distinzione netta tra possessori di capitale e lavoratori, e alla formula comunista dell'abolizione della proprieta' privata del capitale, opponiamo - come gia' rilevato - la formula della piu' vasta diffusione possibile del capitale. Non si tratta di abolire la grande impresa e di sostituirla con una miriade di piccole imprese inefficienti. Non si tratta neppure di regalare azioni. Si tratta di creare le condizioni che favoriscano l'acquisto di azioni da parte della massa del pubblico, senza distinzione di classe, come gia' si verifica nell'America del Nord. Si tratta di modificare l'atteggiamento del pubblico nei confronti della proprieta'. Si tratta soprattutto di dare al lavoro una rimunerazione sufficientemente elevata da rendere possibile il risparmio e da sviluppare il gusto dell'investimento. Occorre trovare quale e' il livello piu' elevato al quale possono arrivare salari e stipendi; e' un campo questo in cui, sia per ragioni di umanita' che per ragioni economiche, si deve sempre guardare in alto, mai in basso. Consideriamo sciocca l'affermazione che il profitto e' un elemento parassitario dell'economia; il profitto ha una sua funzione indispensabile. Ma non vi e' nessuna necessita' di mantenere i profitti al livello elevato a cui favoritismi, monopoli, intese tra feudi economici e feudi politici, hanno fatto giungere la retribuzione del capitale in Italia, livello superiore a quello tollerato nei paesi industrialmente piu' progrediti. Nella torta che e' il reddito nazionale occorre far si' che la fetta che costituisce la retribuzione del lavoro sia sempre piu' grossa.
ANTIDOGMATISMO
Il programma e' vasto, investe tutti gli aspetti delle attivita' economiche. Si potrebbe continuare indefinitivamente accennando ai problemi del credito, alle opere pubbliche, alle industrie parassitarie, alla necessita' di dare un'educazione moderna ai dirigenti dell'economia, ai compiti di fondamentale importanza del movimento sindacale, alla riforma di scuole dalle quali escono periti e tecnici, ecc. I problemi sono infiniti; le soluzioni variano continuamente (e spesso, per esempio nelle attivita' agricole, variano da regione a regione). Occorre tener presente il concetto al quale s'ispirano le soluzioni: il massimo benessere del numero di cittadini. Occorre tener presente il metodo, empirico e antidogmatico, di cui e' bene servirsi; rimaner consci della complessita' dei fenomeni economici e della necessita' di considerare qualsiasi misura, qualsiasi riforma, un esperimento temporaneo che va continuamente rivalutato, criticato, riesaminato
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