Ancora Piero Welby, il 4 gennaio 2006

Questa notte di bestemmie e rosari non mi appartiene, non mi appartengono le pietose bugie umide di orgasmi; miei sono i risvegli inceppati dall’arsura di una febbre senza nome, mie sono le mani che stringono i tuoi seni ed il sapore metallico della fica sulle labbra. Non c’è nessun senso in quello che sto facendo, scopo come un burattino mosso da invisibili fili… non sono io a gemere… fingo, e la mia recita mi inchioda alla croce della diversità –eloì, eloì, lamà sabactanì- Sentii un brivido lungo la schiena spegnersi in uno sfavillio cerebrale. No che non me lo scordo! Per uno come me chiuso nei suoi orti dorati a contemplare pecore e susini sentire l’Energia scorrere attraverso il corpo, la propria fottutissima anima inamidata da anni di rinunce all’altro dilatarsi di colpo come una sfolgorante supernova può far paura, gettarti nel panico più nero, o salvarti il culo dalla stipsi più atroce o dall’aporia più fetente. Ed erano ormai un paio d’anni che una certa frequentazione di simili situazioni m’aveva ricordato che l’essere umano non è soltanto una macchinetta piena di logica e buon senso, è invero un meraviglioso frattale emotivo in continua mutazione, laddove il proprio codice genetico è lo specchio fedele dell’eternità del Cosmo… un Cosmo dove la mia orbita vuota è un vorticoso Buco-nero… anima dannata di una scimmia antropomorfa che urla e graffia, implorando uno sparo bruciante nella vena inaridita.

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