Welby sull'Appia il 10 febbraio 2003 -
Invece di proseguire sull’Appia scese verso via dell’Almone, sorpassò l’acqua acetosa, voltò a destra e rallentando percorse il primo tratto sconnesso dell’Appia Antica. Dopo qualche centinaio di metri posteggiò tra due cipressi e un rudere.
La piazzola era cosparsa di kleenex appallottolati che spuntavano qua e là tra i sassi e qualche asfittico ciuffo d’erba, il calore del motore entrava nell’abitacolo portando con se un odore di olio bruciato e benzina. Abbassò il finestrino, gettò la sigaretta appena accesa e guardò Simona negli occhi.
Non parlava più, si fissava le mani ferme e contratte sulle ginocchia, un gesto di difesa che tradiva i suoi pensieri, aspettava, aspettava che succedesse qualcosa.
Sergio le accarezzò la guancia e la costrinse a voltarsi verso di lui, efelidi come una pioggia d’oro…. Danae... Tiziano, scacciò queste idee parassite che lo assalivano nei momenti più impensati e la baciò.
Dapprima lei non rispose al bacio, poi, lo sorprese con delle leccatine da gatto affamato che beve il latte.
Era una serata incantata, gli sembrava impossibile che tutto andasse nel verso giusto.
Aveva l’impressione di vivere uno di quei sogni ad occhi aperti, più reali della realtà, che l’eroina gli procurava in quei lunghi pomeriggi passati disteso sul letto a fissare il soffitto, stringendo tra le dita la sigaretta che si consumava lentamente fino a bruciargli la carne.
Si erano conosciuti da poche ore, l’aveva desiderata con un’intensità disperata di cui non aveva più memoria, aveva pensato che il suo sarebbe rimasto un desiderio deluso come ce n’erano tanti nella sua vita ed ora era lì. Tra poco le avrebbe aperto quelle cosce magre e nervose, avrebbe visto il colore dei suoi peli e sarebbe entrato dentro di lei, avrebbe riprovato tra le sue braccia la sola sensazione che, oltre la droga, lo facesse sentire ancora vivo. Ribaltò il sedile che cedette con un cigolio lamentoso.
Mentre le tormentava un capezzolo stringendolo tra le labbra e succhiandolo piano, la sentì gemere e respirare affannosamente.
- Sergio…
- Oh... oh... Sergio…
Il respiro caldo di lei gli sussurrava il suo nome nell’orecchio come se bisbigliasse un’invocazione disperata d’aiuto.
Risalì con la mano lungo la gamba, affondò le dita tra i peli umidi e cercò di toglierle le mutandine. Simona gli imprigionò la mano tra le cosce e la strinse con una forza insospettabile, poi si sciolse dall’abbraccio e senza guardarlo, come se stesse confessandogli un difetto, una colpa, una deformità nascosta, chinò la testa e mormorò delle parole incomprensibili.
Sergio le prese il mento tra le dita e le domandò sorpreso…
- Che dici? Che cosa stai dicendo?
- Sono vergine!.. Sono ancora vergine… ho paura non voglio…
Era stato come se gli avesse detto: “sono un marziano!, un centauro!, un ippogrifo, un agente della narcotici!“.
S’era abbandonato di colpo sul sedile e aveva cercato nervosamente nel pacchetto spiegazzato l’ultima sigaretta, dopo averla accesa aveva lanciato lontano il pacchetto vuoto nella speranza inutile di allontanare da sé tutta la delusione e l’amarezza che provava, stava per avviare il motore ma…
- Aspetta!
Simona gli aveva posato una mano sull’inguine e intanto con l’altra tentava con difficoltà di aprire la lampo dei jeans. Sergio, per renderle la cosa più facile, trattenne il fiato e contrasse gli addominali.
Non c’era passione in lei, tutta tesa nel tentativo di compiacerlo aveva, sul viso, l’espressione preoccupata e un po’ ottusa di un bambino assorto in un gioco nuovo e complicato. Quando riuscì a liberare il cazzo dagli slip si voltò verso di lui e mormorò, come se stesse pensando ad alta voce: “...è grosso… quanto è grosso...”
La lasciò fare.
Simona, dopo qualche momento di indecisione, avvicinò timorosamente un dito e deterse con leggerezza una goccia vischiosa e trasparente che stava lentamente sciogliendosi.
Sergio la guardò incuriosito. Ora lei si comportava come se lui non esistesse. Aveva gli occhi socchiusi, e respirava con fatica come dopo una corsa, poi abbassò la testa e rimase con le labbra appena appoggiate sul glande. Quel bacio durò un tempo lunghissimo.
Adesso si sforzava di accoglierlo il più possibile tra le labbra spingendosi sempre più in avanti come se volesse dargli un sostituto di quello che poco prima gli aveva negato. Muoveva la testa disordinatamente facendogli sentire a tratti l’aspra durezza dei denti. Le mise una mano tra i capelli e accarezzandole il collo le impresse un movimento ritmico, un lento andare e venire accompagnato dall’alzarsi e abbassarsi del bacino.
Dal parabrezza appannato vide la luce delle stelle sfaldarsi dilatandosi in macchie vorticose che facevano da sfondo alla sagoma scura e acuminata dei due cipressi, gli sembrò che tutto il paesaggio si torcesse animandosi come se fosse investito dalle pennellate deliranti di Van Ghog. Chiuse gli occhi e si lasciò andare ad un orgasmo inarrestabile e totale come la girandola impazzita del primo flash.
Simona si liberò con uno scatto improvviso dalla mano che le imprigionava la testa e, aperta la portiera, uscì dalla macchina tossendo.
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