Alle 13 del giorno 13 - capitolo 4.
Tornato in Italia, subito si rese conto che non sarebbe stato un ambiente stimolante per lui. La stupefacente unicita' di Venezia, a meno di un'ora di strada, era per lui noia quotidiana come lo puo' essere Hollywood per gli abitanti di Los Angeles; altre meraviglie come il capolavoro di Leonardo da Vinci, il Cenacolo, l'aveva a disposizione nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, a soli duecento metri dall'appartamento milanese dei suoi nonni. Decise quindi che per soddisfare la sua necessita' per il nuovo, la sua curiosita' per il diverso che l'aveva gia' portato in venti paesi del mondo, sarebbe andato in Francia.
Strano, penso', ma conosceva poco quel grande, straordinario paese che e' la Francia. Strano perche' e' il paese che solitamente i giovanissimi italiani visitano come prima esperienza all'estero, sia per la sua immagine affascinante che per la storia che lega i due popoli tanto da chiamarsi reciprocamente i "cugini d'oltralpe", e pure per la ragione piu' ovvia di vicinanza geografica. La Francia, dunque, che mai nella sua infanzia gli aveva particolarmente colpito l'immaginazione come invece l'Inghilterra (per la quale sempre simpatizzava quando a scuola studiava lo storico antagonismo attraverso secoli di guerre), lo impressiono' molto favorevolmente per la sua capacita' di coniugare un'efficenza europea dei servizi pubblici, come telefoni e banche, con il calore proprio delle genti mediterranee.
Dopo un mese trascorso a meditare in un posto meraviglioso dove il silenzio della notte era tale che quasi non riusciva a dormire per l'assenza di confortanti rumori cittadini, le stelle, i grilli e le cicale gli dissero che non era quel paradiso il posto che faceva per lui. Torno' a Milano, ospite di suo cugino Massimo. Si sentiva ancora nervoso come un cavallo scalpitante. Quale direzione voleva impostare alla sua vita nella ricerca di darle un senso? Prese una carta geografica dell'Europa e prese anche una decisione pazzesca sotto tutti i punti di vista: alla ricerca della felicita', aveva deciso di ritornare nella regione d'Europa piu' infelice e depressa: i maledetti Balcani.
"Vado, ciao" Andrea disse a suo cugino Massimo, che conoscendolo non gli chiese inutilmente dove andasse, ma fu ugualmente assai sorpreso quando due giorni dopo Andrea lo chiamo' dal radiotelefono della nave che lo stava portando in Grecia. E da Patrasso, in qualche modo con improbabili treni e autobus dalle ruote triangolari, Andrea sarebbe finalmente tornato in Bulgaria, che non a caso fa rima con malattia. Era l'agosto del 1996, la vita era assai dura coi comunisti tornati al potere, e sarebbero passati altri sei mesi di sofferenza prima che scoprisse qual'era la misteriosa esigenza che l'aveva spinto a tornare in quello sfortunato paese balcanico dove niente funzionava.
Poiche' per stupidi motivi burocratici doveva ogni 30 giorni uscire dal paese (magari solo per 5 minuti per fare pipi' in un duty-free-shop in terra di nessuno e rientrare subito dopo) al fine di evitare di pagare il prezzo astronomico del visto permanente, Andrea colse l'occasione di prendersi una vacanza di qualche giorno a Salonicco, una citta' che per la sua modernita' e minore inquinamento lo affascinava piu' della stessa mitica capitale Atene.
Il soggiorno di quattro giorni a Salonicco fu piacevolmente rilassante; Andrea era contento di essere solo, di non essere costretto dalla solitudine di Sofia a dover condividere le sue angoscie con le segretarie, di sperimentare ogni sera un diverso economico alberghetto per farsi una sua personale guida turistica di quale fosse il migliore per rapporto tra qualita' e prezzo, di poter mangiar bene una decente cucina italiana che a Sofia gli sarebbe costata il doppio, di poter comprare ogni mattina alle 11 il Corriere della Sera del giorno stesso, che a Sofia non arrivava piu' da oltre un anno, e di gioire di leggerne ogni riga seduto all'aperto da Tottis in piazza Aristotelis in riva al mare, di fronte al porto, grazie alla temperatura mite nonostante fosse pieno inverno, gli ultimi giorni di gennaio.
La prima cosa che fece al suo ritorno a Sofia nella sede-abitazione fu di attivare la segreteria telefonica per ascoltare i messaggi accumulatisi nel frattempo, mentre esausto per il viaggio nel treno lentissimo si spogliava per impecorarsi al calduccio sotto le coperte. Un messaggio in particolare lo colpi' per la dolcezza della voce. Solitamente i messaggi che si accumulavano nella segreteria riguardavano casi penosi di parlamentari bulgari che mendicavano un visto per una gita a Roma a spese del partito, o nel migliore dei casi di pietosi esperantisti ottuagenari che lo invitavano a convegni dai temi allucinanti come lo sviluppo della letteratura esperantista nel Burkina Faso.
Andrea rimase sconvolto da quel messaggio in inglese con quella voce dolce, educata, perfino sensuale! Quella voce non poteva essere balcanica. O almeno non s'era mai sentito nei Balcani fino a quel momento qualcuno con la strana abitudine di dire buongiorno e buonasera. Agitatatissimo, Andrea non riusci' a dormire tutta la notte in attesa che nel mattino lo raggiungesse in ufficio la segretaria per fornirgli delle spiegazioni. Dopo il doveroso rapportino di routine su cosa fosse successo durante la sua assenza le chiese di quel messaggio e dal suo stupore capi' che risaliva alla sera del giorno prima, proprio mentre era in viaggio di ritorno per Sofia, altrimenti l'avrebbe sentito anche lei se fosse risalito ad un giorno precedente.
Tre giorni dopo Andrea era gia' precipitato nella storia d'amore della sua vita, intensa e affascinante come la tempesta di neve che infuriava fuori dalle sue finestre, e aveva finalmente capito qual'era la ragione misteriosa che lo aveva magneticamente riportato li' attraverso un percorso cognitivo (ma anche uno spostamento fisico del proprio corpo dall'America all'Italia, la Francia e la Grecia) durato dieci mesi. O per meglio dire, dieci anni.
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