Mi dispiace per il fiume / Sorry about the River - III

Marco Perduca, il nonno materno di Mauro Suttora, arrivò in America dalle isole Eolie nel 1920, adolescente analfabeta in cerca di fortuna come milioni di altri emigrati italiani...

ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale

... Analfabeta lo rimase fino alla fine dei suoi giorni ingloriosi, ma divenne rapidamente benestante eseguendo per i fratelli Anastasia, in quegli anni padroni del sindacato del porto, più d'uno di quei lavoretti sporchi che creavano vedove e orfani di scaricatori ribelli o giovani sbirri troppo incauti e zelanti. Anche Albert e Anthony Anastasia erano italiani (il loro vero nome Anastascio) e quando caddero in disgrazia con la fine del proibizionismo, man mano che le nuove famiglie acquisivano potere con traffici alternativi, il caro nonnetto non risentì della crisi. L'ignoranza compensando con vulcanica furbizia, aveva capito che nella mediocrità sta la virtù e non aveva mai voluto diventare un esponente di rilievo della famiglia in declino, così da potersi facilmente riciclare ritirandosi in una dorata pensione sotto l'ala protettiva del cartello di nuove famiglie vincenti. In proposito correva voce che fosse stato proprio lui a incaricarsi di far fuori Albert Anastasia nel radergli la barba il 22 ottobre del 1957.

Personalmente Mauro ne dubitava e aveva sempre pensato che questa fosse una leggenda fatta circolare ad arte da sua madre Christiane Rocca, figlia di Marco, che aveva sempre alimentato il mito negativo del nonno per esaltare il contrasto con se stessa, educata e colta economista contesa dai governi e le università. Che avesse potuto laurearsi proprio grazie al padre analfabeta era circostanza che sembrava sempre essere sfuggita a Christiane, motivo per cui la terza generazione dei Perduca-Rocca-Suttora si sentiva istintivamente più portata a provare simpatia per il nonno pluriomicida piuttosto che per la mamma pluricornuta. Mauro crebbe nella bambagia, avendo innanzi tutto la possibilità di frequentare le migliori università quasi come un hobby in attesa di essere inserito in ottime posizioni statali grazie alle tentacolari amicizie politiche della madre. Quando si trovò improvvisamente catapultato nella intelligence del suo grande paese, la mitica CIA, il suo entusiasmo fu inversamente proporzionale alla delusione che col tempo si accumulò verso gli alti papaveri dell'amministrazione, il muro di gomma dei burocrati che non apprezzavano le sue ottime analisi su un paese concorrente o nemico, come se si fosse trattato degli esercizi di stile di un un fantasioso raccomandato troppo zelante. Avrebbe notato anche come, quando gli veniva organizzato come copertura all'estero l'impiego in qualche azienda commerciale, che quel tipo di atteggiamento era molto comune nel mondo del lavoro in generale: i presunti manager tendevano sempre a dare la minima importanza possibile alla sua opera. Così andava il mondo e perciò Mauro Suttora, disgustato, mandò tutti a cacare e si mise in proprio.

Scelta pericolosa, rimuginava aggrappandosi alla razionalità, e ai braccioli del sedile, nel brutto quarto d'ora che il dreamliner impiegò a guadagnare i trentamila piedi di quota per sottrarsi alle violente turbolenze che facevano tremare come una foglia il giocattolo di duecento tonnellate. La sconosciuta Raffaella Bianchi nella poltrona accanto gli stringeva forte la mano, ma tutto ciò non aveva niente a che fare col sicuro 007 che rassicura la ragazza impaurita. La tipa era una tarchiotta brianzola baffuta diretta a Malpensa in classe rannicchiata. Insomma una situazione non precisamente come quelle dell'agente segreto James Bond in classe distesa senza la minima turbolenza a disturbare il secchiello con ghiaccio per lo champagne. Inscatolato in meno di un metro cubo con una bottiglietta calda del peggiore prosecco frizzante di anidride carbonica, Suttora pensava che era una gran brutta cosa il turismo di massa e vigliaccamente smise subito di dedicare i suoi devoti pensieri al Dio dei proletari affinché intercedesse per la sua anima e nella stabilità dei diecimila metri, più vicino al Signore dei borghesi, lo pregò intimamente di riservargli per la prossima volta la fortuna di uno di quei posti di business dove ti mettono anche se hai un biglietto economy quando ti presenti al check-in al momento giusto.

Scelta pericolosa soprattutto perché, al di là dell'effimera brianzola baffuta, quel volo verso il colloquio con l'uomo politico europeo che l'aveva convocato per il suo primo incarico non sarebbe stato che un aspetto, probabilmente tra i meno spiacevoli, della sua nuova attività di agente segreto privato. Volò ancora da Malpensa a Montpellier, da qui noleggiò una Citroen e dopo Ales percorse la strada da Besseges a Le Van con il finestrino mezzo aperto, godendo della frizzante aria di montagna, fermandosi infine a Malbosc, un pittoresco villaggio tra la Gard e l'Ardeche rimasto fortunatamente fuori dai percorsi turistici: l'essenza della tranquilla campagna francese, della celebrata Francia profonda. In un casolare ricondizionato senza alterarne l'aspetto esteriore ma dotato all'interno di ogni comfort e diavoleria elettronica per le telecomunicazioni, trovò ad accoglierlo Marco Pannella in un abbigliamento casual e un atteggiamento altrettanto informale. Superati rapidamente i convenevoli, il leader dei democratici venne subito al punto, affiancato da un giovane collaboratore sordomuto che di volta in volta presentava a Suttora la documentazione relativa a quanto leggeva sulle labbra di Pannella, che come segue lo istruì.

Abbiamo ragione di ritenere che più organizzazioni criminali con interessi differenti e non usualmente collegate tra loro abbiano unito le loro forze per complottare al fallimento di una politica che le danneggerebbe pesantemente, la politica che intendiamo attuare senza esitare se, come speriamo ragionevolmente, conquisteremo presto la presidenza dell'Unione, cioè il primo governo europeo con pieni poteri esecutivi. Alle solite organizzazioni mafiose che gestiscono il commercio di armi e droga, che verrebbero duramente colpite dalla nostra rivoluzionaria politica nel terzo mondo, si sommano enormi interessi geopolitici di altre potenze, nonché il boicottaggio sciagurato delle inevitabili mele marce nelle nostre stesse istituzioni federali, che in alcuni casi siamo riusciti a individuare ma purtroppo troviamo molto difficile purgare.

Il recente sabotaggio della centrale nucleare di Kozloduy ha costituito un clamoroso autogol dei nostri nemici, attirando le simpatie dell'elettorato sul nostro candidato, che ora ha qualche probabilità di vincere nonostante sia partito handicappato. Tuttavia c'è poco da stare allegri: le spaventose conseguenze della catastrofe ambientale danubiana ci danno un'idea di cosa siano capaci i nostri nemici, ed è facile vedere come con l'aumentare della popolarità del nostro candidata aumenti esponenzialmente per lui il pericolo di vita. Naturalmente noi siamo attivi per proteggerlo, ma se vogliamo provare a vincere l'elezione non possiamo tenerlo chiuso sotto una campana di vetro nella fase finale e più intensa, in cui stiamo per entrare, della campagna elettorale. Prevenire è meglio che curare, e tra le varie misure che vogliamo intraprendere abbiamo pensato di servirci di un professionista dello spionaggio per seguire una pista promettente. L'individuo nella foto, Roberto Granzotto, è il presidente della sezione italiana di una organizzazione culturale internazionale perfettamente legale dal punto di vista formale, ma che i nostri governi - e anche quello del suo paese, mister Suttora -, sospettano fare da copertura ad attività molto meno nobili nel campo delle armi chimiche e batteriologiche, a livello mondiale.

Non c'è abbastanza tempo affinché lei possa infiltrarsi nella loro organizzazione prima delle elezioni. Occorre invece che lei lo tenga d'occhio costantemente nella speranza che ci conduca ai vertici dell'organizzazione criminale, ed è a quel punto che ci aspettiamo il meglio da lei: vogliamo servirci della sua eperienza per estirpare alla radice il cancro dei cosiddetti comunisti esperantisti, nel modo discreto e definitivo - sottolineo definitivo -, che non potremmo aspettarci di ottenere dalla giustizia ordinaria con le sue lungaggini e prevedibili intralci. In certe occasioni non si può andare troppo per il sottile e confidiamo che ciò non costituisca un problema per lei, considerata la prassi del suo rinomato ex datore di lavoro. Quale adeguato compenso per la sua discrezione riceverà l'ingente diaria sulla quale ci siamo già accordati. Il qui presente mio fidato maggiordomo Alexandre de Perlinghi provvederà subito a darle un anticipo in contanti e a fornirle altri particolari di cui avesse bisogno. Torni subito a Milano e ci tenga costantemente informati sugli sviluppi.

Il barbuto architetto Roberto Granzotto indugiò apparentemente senza meta nei vicoli del centro di Sofia prima di infilarsi in un portone dall'aria sospetta. I suoi passi risuonarono dal basso indicando che si dirigeva verso le cantine. Se qualcuno lo avesse pedinato avrebbe intravvisto la sua silhouette in controluce scivolare in un anfratto di polvere sospesa nel fumo. Se qualcuno avesse davvero potuto seguirlo, avrebbe assistito a una riunione del gotha mondiale della proliferazione chimica e batteriologica. E se quel qualcuno si fosse chiamato Mauro Suttora, sapendo che tredici dei più pericolosi delinquenti internazionali erano riuniti dietro quella porta, non si sarebbe certamente lasciato sfuggire la straordinaria occasione per irrompere e falcidiarli tutti con un'unica raffica prima che potessero rendersene conto. Ma Suttora era ancora a Milano, piantato davanti all'edificio dove abitava Granzotto, dov'era arrivato cinque minuti dopo che questi ne era uscito, nella vana attesa che questi ne uscisse.

continuerà nella IV di XVII angoscie

1 commento:

Unknown ha detto...

Nel racconto, sempre molto acuto e ben referenziato ho trovato anomalo che Le Gard sia femminile come l'Ardèche ma, quanti italiani vedono queste differenze?