Sorry about the River
Mi dispiace per il fiume

secondo capitolo

Questo secondo capitolo è noioso come una stazioncina ferroviaria, ma tutto sommato sopportabile. e soprattutto
ogni riferimento a fatti e/o persone realmente esistenti è puramente casuale
:)

Con un occhio attento all'orologio il leader nonviolento Marco Pannella arringava la platea del congresso del Partito democratico alternando sapientemente forti proclami a frasi sussurrate quasi baciando il microfono, in una atmosfera di suspence fino alle venti in punto dell'Europa centrale, quando, dopo essersi soffermato a tracciarne il profilo politico e morale, finalmente pronunciò il suo nome suscitando l'apoteosi dei delegati, pressoché ipnotizzati dall'oratoria del mitico leader carismatico, in coincidenza con l'apertura dei principali telegiornali europei. Molti di questi, da Euronews a TV5, Star, RTL e il Tg1 della Rai, oltre centinaia di siti web, aprirono in diretta dalla sala congressuale dove la folla in tripudio, stupita dalla scelta ma prontamente adeguatasi alla sorprendente indicazione pannelliana, applaudendolo scandiva il nome di Olivier Dupuis mentre questi si avvicinava al microfono sforzandosi di controllare l'improvviso tremore alle ginocchia e qualche lacrimuccia di emozione che spuntava dinanzi ai delegati venuti a Roma da trenta paesi europei e che incredibilmente volevano proprio lui come prima presidente degli Stati uniti d'Europa.

Il nuovo presidente del Partito democratico, di fatto proclamato in diretta per acclamazione, fu abile come il suo maestro a utilizzare il mezzo televisivo: parlò solo un paio di minuti in perfetto francese per accettare la candidatura ripetendo gli slogan federalisti con le braccia allargate in alto e concluse ringraziando brevemente in numerose lingue Pannella e tutto il congresso, che continuava a inneggiare al suo nome in una possente coreografia. Quella perfetta sincronia mediatica aveva istantaneamente trasformato lo sconosciuto funzionario di partito nel personaggio del giorno, con grandi fotografie in apertura di prima pagina sulla stampa mondiale, che per una settimana avrebbe spiegato chi era, da dove veniva e cosa voleva fare da grande Olivier Dupuis.

Il deputato lussemburghese sapeva bene di essere stato paradossalmente avvantaggiato dal non poter contare su un grosso elettorato nazionale. In una elezione in cui la nazionalità del candidato sarebbe stata nella valutazione degli elettori altrettanto importante della sua collocazione politica, difficilmente un italiano avrebbe raccolto molti consensi a nord delle alpi, salvo forse tra i connazionali emigrati, e analogamente un tedesco non avrebbe potuto entusiasmare più di tanto gli elettori mediterranei, francesi compresi. L'anziano e rispettato Marco Pannella aveva giocato bene le sue carte calcolando che se si fosse candidato e avesse perso sarebbe stato un modo amaro di uscire di scena, mentre gli sarebbe convenuto lanciare allo sbaraglio un candidato più giovane per non rischiare di offuscare il posto che si era già conquistato tra i grandi della Storia.

La trovata di Pannella, vecchia volpe dei giochi politici brussellesi, fu una sorpresa per lo stesso Olivier, che in congresso si preparava a sostenerne lealmente la rielezione ma venne da questi convocata durante la notte precedente in una saletta riservata dell'Albergo Licheri romano per sentirsi dire, alla presenza di una manciata di alti dirigenti del Partito democratico, di essere stato ritenuto il più adatto a soddisfare le caratteristiche delineate dai guru del marketing: la sua immagine di cinquantenne dinamico dava l'impressione di sembrare relativamente giovane per aspirare alla massima poltrona, ma al tempo stesso non troppo per accattivarsi le simpatie dell'elettorato moderato della terza età, prevalente quasi ovunque nel continente. A questo proposito, gli fu spiegato, avrebbe dovuto cominciare con una visita dal parrucchiere per dotarsi di un taglio meno giovanile, in modo da non sembrare troppo più giovane del suo coetaneo concorrente avversario, il candidato di destra Kapezzonen.

Olivier Dupuis era un uomo alto e molto magro dai tratti somatici duri e gli occhi scuri sempre in movimento. Maturando aveva scoperto il gusto di vestirsi con sobria eleganza, vissuta in gioventù come una fastidiosa imposizione conformista da accettare in nome della carriera politica. Con gli anni, e lo stipendio di parlamentare, aveva perfezionato come un sottile piacere la ricerca dei particolari, specialmente le cravatte, per distinguersi in quel mare di completi grigi o blu che costituivano l'uniforme dei colleghi deputati. Possedeva una vastissima collezione di cravatte, tutte di buon gusto e ottima fattura, che portava in viaggio in apposite scatole di legno pregiate che si era fatta costruire su suo disegno in base alla sua originale idea di come dovessere essere riposta una cravatta affinché non si sgualcisse. Poteva capitare di vederlo due giorni di seguito con la stessa camicia, per una settimana con gli stessi pantaloni, per un mese nelle stesse mutande, ma mai più di mezza giornata con la stessa cravatta, l'accessorio-simbolo che lo proteggeva psicologicamente come aveva simbolicamente protetto dagli invernali rigori rivoluzionari il collo di un suo antenato nel reggimento di cavalleria croato della Royale-Cravate, che l'introdusse in Francia alla fine del '600.

Di carattere inventivo e sempre portato alla ricerca del diverso, in fuga dalla banalità e la noia, Olivier non aveva avuto successo in politica per una strategia pianificata quanto piuttosto grazie al suo geniale intuito femminile nel saper cogliere il momento giusto per fare la scelta giusta. Possedeva inoltre la capacità di adattarsi a nuove situazioni, ritmi e ambienti di lavoro, quali erano quelli di un grande partito politico appena nato e ancora nel pieno della dinamica della sua costituzione, che procedeva parallelamente a quella dell'unione politica europea. Animato dalla grandiosità degli eventi che viveva in prima persona, poteva ben accettare di spendersi al limite delle sue forze e sapersi riprendere con straordinaria vitalità dalle delusioni, gli sgambetti degli invidiosi, il sangue e merda principali elementi della politica, nei quali sguazzava corazzato come un palombaro per uscirne pulito ma più agile degli avversari, fuori e dentro il suo stesso partito.

Olivier non aveva dimenticato le sue umili origini in una famiglia piccolo-borghese e i sacrifici dei genitori per assicurargli un'istruzione superiore. Aveva dunque conservato la capacità di saper parlare alle masse dei sempre più numerosi nuovi poveri, il sempre meno ideologizzato - nello scettico disprezzo della politica - ribelle proletariato del XXI secolo che popolava le periferie delle metropoli europee. Nell'ambigua qualifica di responsabile transnazionale, funzione non prevista nello statuto del partito lussemburghese dal quale proveniva, per promuovere le ragioni e le speranze federaliste aveva a lungo girato l'Europa arringando manovali portuali e centraliniste di call centre ai quali solo lui sapeva rivolgersi con parole prive di ideologia e incentrate sul punto fermo del pensiero originale sul quale si era formato: il socialismo liberale di scuola pannelliana.

Non era tanto questione di destra o sinistra, amava ripetere alla muscolosa udienza dalle mani callose e le labbra screpolate, ma di una giustizia sociale senza etichette che avrebbe loro assicurato condizioni di vita decorose al di là degli aumenti in busta paga. Ancor più di questi erano importanti la dignità del lavoratore e il rispetto da parte dei dirigenti, giocava bene questa carta Dupuis laddove i sindacalisti burocrati avevano sempre deluso una manodopera la cui nobiltà morale, affondava Olivier in un crescendo rossiniano, aveva avuto un ruolo fondamentale nel costruire la potenza economica dell'occidente. Politici coraggiosi, consapevoli dei sacrifici patiti dalla loro base elettorale, avrebbero dovuto usare in modo apertamente ricattatorio questa influenza economica per costringere i regimi illiberali dell'Africa e dell'Asia ad abolire la schifosa piaga del lavoro minorile, che tra l'altro costituiva una concorrenza sleale.

Il funzionario di partito lussemburgese possedeva questa singolare capacità di convincere le specie in estinzione delle mine e delle fonderie che avrebbero potuto avere un ruolo storico nei destini del mondo e che votando per il Partito democratico avrebbero riscoperto la vera giustizia sociale come qualcosa di cui essere protagonisti a promuovere nel resto del pianeta, orgogliosi di poter infuire in quanto storicamente eredi della rivoluzione industriale iniziata due secoli prima nel vecchio continente. Olivier sapeva che i loro figli a scuola apprendevano dagli insegnanti di non acquistare il caffè, le banane, i giocattoli e le calcolatrici prodotte in alcuni paesi, e il sabato di spesa grossa all'ipermercato imponevano ai genitori stupefatti di scegliere prodotti garantiti anti-sfruttamento. Abilissimo nel tirare in ballo così i loro bambini, il fine oratore restituiva agli astanti il ruolo guida della classe operaia nel migliorare la società, ruolo tradito nel secolo precedente dal socialismo reale ma ora riscoperto nella sua proiezione internazionale e nel contesto di uno sviluppo sostenibile, eufemismo per un capitalismo dal volto vagamente umano.

Allora immancabile saliva dalla folla un mormorio di assenso accompagnato da visi che annuivano per guardarsi tra loro, grati all'oratore per essere stati coinvolti in un'analisi politica globale anziché essere semplicemente solleticati nei loro più bassi bisogni materiali come solevano fare i professionisti del sindacalismo di carriera, e perfino qualche lacrimuccia spuntava negli occhi di quella gente rude all'evocazione della massa operaia educata e consapevole che avrebbe marciato implacabile in soccorso dei poveri tra i poveri. E questi pomeriggi proletari di Olivier, dolorante per le pacche sulle spalle, finivano quasi sempre nel chiasso di una birreria in un qualche quartiere degradato, la cravatta allentata sul colletto sbottonato di una camicia con le maniche rimboccate a lasciare intravedere il tatuaggio di una rosa sul braccio sinistro.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

NON SAPREI SE VALUTARE QUESTA PUTTANATA PAZZESCA COME UNA PUTTANATA PAZZSCA

Unknown ha detto...

Tutti i riferimenti, presumo, non hanno niente a che vedere con personaggi esistenti:-)
Bella la trovata della cravatta in opposizione alle mutande:-)