Non mi oso pensare! Improvviso sbalzo d'umidità

ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale


Non importa se un prodotto fa del bene o del male - Dupuis citava l'esemplicazione di un amareggiato ex dirigente della OBM, la multinazionale da sempre più potente nel settore strategico della tecnologia dell'informazione - quello che conta è che venga consumato in quantità sempre più crescenti. Poiché tutto quello che fa la corporazione ha come fine ultimo la creazione del profitto, non offre ai suoi lavoratori alcuna soddisfazione personale, alcuna sensazione di contribuire qualcosa di utile alla società: vai a lavorare per una corporazione e, tramite un buon salario e vari incentivi, sei installato come un collegamento senza volto in una catena che si allunga, completando il circolo facendo di te un consumatore in più di tutta quella spazzatura. In una società dove il lavoro era diventato il metro di valutazione di ogni altro valore e l'uomo giudicato in base al suo rapporto con il lavoro, questo veniva considerato come la sua stessa essenza, l'unico modo in cui l'uomo trasforma la realtà, la possiede e la fa sua.

O almeno così argomentava Olivier, la cui anima socialista non si era mai assopita. In economia il lavoro era una merce come le altre e pagata in base a domanda e offerta, continuava scoperchiando la contraddizione: che si trattasse di merce umana determinava la condizione psicologica dell'individuo di estraniamento dall'esistenza sociale, o alienazione: il lavoratore non producendo per sè stesso ma per chi possedeva gli strumenti di produzione perdeva la sua caratteristica fondamentale: la sua stessa umanità. Era naturalmente a Karl Marx che Olivier doveva questa riflessione, come del resto quella sulla tendenza alla pauperizzazione che nonostante l'avvento delle nuove tecnologie era riemersa prepotentemente nello spostare il lavoro nel terzo mondo o importando manodopera da quelle aree sottosviluppate, così mettendo in concorrenza i lavoratori nei sistemi capitalisti avanzati con quelli disperati nei sistemi sociali meno garantiti. Olivier era totalmente deragliata dall'argomento esperantista, come era del resto sua abitudine mobilitare gli albanesi affamati sull'occupazione cinese del Tibet, facendosi vanto di riuscire in queste sue originalità, ma l'assemblea vetero-esperantista l'ascoltava interessata, e con essa anche Mauro Suttora, che era arrivato prontamente a Zakopane su pronta segnalazione di Vittorio Boselli e si era discretamente appostato in posizione defilata in fondo alla sala per scrutare i presenti sui monitor del banco regia per la registrazione televisiva.

Con Vittorio e Michel, l'unico che li avesse mai visti, identificarono il tizio che aveva sostituito Szikora a Praga come compagno di viaggio di Granzotto e un altro poco rassicurante individuo. A entrambi avrebbero potuto anche dare dei nomi, rispettivamente il tedesco Jonathan Poker e lo svizzero Livio Schnur, se soltanto avessero potuto accedere alla lista nera del dipartimento di stato, ma neppure quel database sarebbe stato loro utile a identificare un terzo individuo, somigliante a un lampione per quanto era alto e inespressivo, che però con un cappuccio in testa avrebbe potuto benissimo essere Paganov. L'elemento di questa lugubre presenza consigliava prudenza: la circostanza era davvero fortunata nel disporre di tre o forse più dei criminali per farli fuori in un colpo solo, ma se davvero il lampione era il loro grande capo non bisognava metterlo in allarme con l'improvvisa sparizione degli altri, né eliminare egli stesso che avrebbe invece potuto rappresentare il metodo per risalire a tutti gli altri. Questa strategia attendista, che comunque a un certo punto critico sarebbe divenuta impraticabile, Suttora e i due Boselli elaborarono nella toilette, decidendo che a turni di quattro ore avrebbero tenuto d'occhio per quanto possibile i nemici e chiamato via radio i compagni ogni volta che questi si fossero separati.

In una camera dell'albergo Vittorio Boselli potè finalmente stendersi dopo la lunghissima giornata, ma era talmente esausto che non riuscì a prendere sonno, col cervello che sembrava non volersi fermare, dilaniato dall'esplosione delle sue contraddizioni. Come fautore dell'anarchia individualista in contrapposizione alla concezione confuciana della società, aveva sempre considerato l'individuo come esclusivamente proprietario di sè stesso e riteneva una limitazione ogni rapporto con gli altri, sia pure talvolta necessario. Stemperava questa anomia simpatizzando per la filsofia buddista, affinando l'arte del distacco dalle emozioni e dalla possibilitaà che la realtà esterna lo penetrasse violentemente e senza controllo, colpendo la sua sensibilità e ponendolo in balia della fluttuazione. Ma quanto stava accadendo attorno a lui era una contraddizione troppo stridente e sconvolgente, tale da togliergli il sonno.

In tema di contraddizioni, da parte sua Olivier ne viveva di altrettanto dolorose, quelle mastodontiche della politica materiale. Già la fine del XX secolo aveva visto nei paesi occidentali le politiche dei principali partiti convergere verso un'unica ideologia e trasformare partiti avversari in niente più che fazioni rivali in lotta per il potere. La democrazia era di fatto una oligarchia plutocratica dei più grossi conglomerati multinazionali che finanziavano i processi politici e governavano offrendo agli elettori una scelta tra candidati leader che condividevano opinioni sulla gran parte delle cose e si differenziavano semplicemente per differenti stili, come le confezioni dei prodotti di largo consumo. Negli Stati Uniti d'America, dove questo fenomeno era in atto da decenni, si era arrivati al punto di avere un solo partito con due nomi, repubblicani e repubblicani-light, e anche i paesi europei, con piccole sfumature che li differenziavano marginalmente, erano diventati stati a singola ideologia con due fazioni quasi identiche, così l'alternanza alle elezioni aveva un irrilevante impatto sulle politiche effettive, e alla gente non era rimasta altra scelta che votare per dei coreografi.

Le notizie politiche si limitavano ai pettegolezzi e sugli scandali dei quali, quando non coinvolgevano entrambe le fazioni, ciascuna si sarebbe servita per gettare fango sull'altra nella mera lotta per il potere. A tal fine era diventato indispensabile il supporto degli oligopoli mediatici, primi tra essi quelli televisivi, che ottenevano in cambio dai politici compiacenti la possibilità di espandersi oltre ogni controllo in un circolo vizioso. Era un modello insieme suicida e vincente che Olivier aveva suo malgrado imitato da maestra, maturando insieme al gusto per le cravatte anche il senso della sopravvivenza nell'arena politica. Ma in cuor suo, per motivarsi a tirare avanti, covava il sogno segretissimo che non avrebbe mai rivelato neppure ai suoi più vicini colleghi di partito per timore che l'accoltellassero alle spalle rivelandolo. Ora aveva però accanto a sè la persona che amava, con la quale confidarsi per liberarsi di quel peso enorme e denudarsi fino al suo più intimo segreto. E nuda era, con il capo appoggiato sul petto di Michel dopo aver fatto l'amore - smoderatamente per soddisfare in particolare il lettore Piero Welby -, mentre gli spiegava che cosa avrebbe fatto se avesse vinto l'elezione.

Il chiodo fisso di Olivier era l'Africa, il continente orfano dimenticato nello sfruttamento, con interessi sul debito estero ormai equivalenti alla sua produzione, che al pagamento di questi era ormai inevitabilmente vincolata, e governato dai burattini delle multinazionali contro le quali si sarebbe scatenata la sua ira una volta eletta presidente. Avrebbe usato la mano pesante per imporre la democrazia e mantenere lo stato di diritto. Col metodo del bastone e la carota avrebbe dapprima sostituito gli aiuti al commercio e contestualmente favorito la federazione dei paesi a regime democratico, anche se non confinanti tra loro. Poi non avrebbe esitato a servirsi delle forze armate europee, che dalla loro istituzione scalpitavano per essere messe finalmente alla prova senza gli americani sempre tra le palle. Olivier avrebbe delegato le questioni interne minori al vice-presidente Romano Prodi, che sarebbe stato ben contento di governare quasi indisturbato su un così ampio spettro di materie, mentre lei come capo delle forze armate avrebbe fatto calare la spada della giustizia sulla testa dei guerrafondai del terzo mondo, compresi quelli che li rifornivano di armi e che stavano in Europa.

Costoro avrebbero ovviamente opposto resistenza, ma Olivier non intendeva passare alla storia come una presidente debole e codarda. Il parlamento europeo sarebbe stato costretto a passare leggi restrittive ignorando la lobby armaiola sotto la pressione dell'opinione pubblica e la sua minaccia di scioglierlo, pensava ingenuamente Olivier mentre molto più probabilmente le industrie di armi europee non l'avrebbero ostacolata più di tanto: a ben vedere, le forze armate dell'Unione avrebbero pur avuto bisogno di armi nuove dopo avere usato quelle vecchie per rovesciare i regimi illiberali che si sarebbero riforniti da qualche altra parte, e l'intero settore avrebbe continuato a prosperare. Ma così sognava ad occhi aperti Olivier a letto tra le braccia di Michel, e lui gli accarezzava teneramente il capo, che uno sbalzo d'umidità aveva improvvisamente trasformato in una testa di capelli afro-caraibici. Si amavano.

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