Non mi oso pensare! Rallentare annusarsi toccarsi

ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale

Non sapeva cosa l'avesse indotto a formulare quell'invito forse avventato e si stupì delle sue stesse parole, ma gli vennero spontanee. Gli propose di accompagnarlo nella fase finale della campagna elettorale, scherzando sul fatto che come sicario fallimentare gli dava le migliori garanzie di essere protetto, e lui accettò con entusiasmo. A Veliko Turnovo, la prima capitale risorgimentale le cui case appollaiate a precipizio sui baratri che dividono la città Ivan Vazov descrisse come pecore spaventate confinate sulle rocce da selvaggi rampicanti, Michel lo rese edotto di come la costituzione qui approvata nel 1879 dal primo parlamento bulgaro, non a caso a maggioranza liberale, si fosse ispirata a quella democratica belga, al che Olivier s'inorgoglì, benchè lussemburghese, e non dimenticò di citare il fatto storico nel suo comizio per insaporire il suo brodo federalista, ormai un po' riscaldato.

Proseguirono il loro lungo viaggio verso nord facendo tappa a Ruse, ancora spopolata dalle radiazioni, dove i primi nuclei familiari autorizzati dalla protezione civile riprendevano gradualmente possesso dei loro appartamenti socialisti reali nei casermoni di periferia. Si fosse chiamato Kanetov, forse qualche bulgaro ne avrebbe sentito parlare, gli spiegava Olivier, ma siccome era un ebreo sefardita poco importava che fosse nato lì: i bulgari avrebbero continuato ottusamente a lamentarsi di non avere mai vinto alcun premio Nobel. Invece quello della letteratura Elias Canetti se lo era guadagnato proprio descrivendo la sua infanzia nella città danubiana, dipingendo il ritratto di un luogo di differenti razze e credi, la cui cultura cosmopolita lo inseriva fermamente nella mitteleuropa. Il mix etnico dei giorni di Canetti era da lungo tempo scomparso, e più di recente era temporaneamente scomparsa l'intera popolazione, ma passeggiando nel centro Olivier e Michel potevano ancora percepire l'elegante atmosfera centro-europea della città, che nonostante fosse stata avvizzita dalla'opprimente ferrocementificazione degli inurbani urbanisti bulgari del dopoguerra conservava ancora pacifiche strade residenziali (troppo pacifiche in quel silenzio mortale) dove ornamenti ispirati all'art nouveau gocciolavano da delicati edifici costruiti a cavallo tra il XIX e il XX secolo.

Ruschuk, come la chiamavano i turchi, non era stata che un'irrilivante località di provincia dell'impero ottomano finché il governatore illuminato Midhat Pasha vi costruì scuole, ospedali, fabbriche e soprattutto la prima ferrovia bulgara, che la collegò a Varna sul Mar Nero. Perciò prima che fosse completata la più diretta linea da Belgrado a Costantinopoli via Sofia, i viaggiatori navigavano il Danubio e sbarcavano a Ruschuk sulla via dell'oriente. In quell'epoca d'oro un quartiere europeo si sviluppò rapidamente lungo il fiume e il commercio ricevette un'ulteriore spinta dopo la liberazione, cosicché per molti anni la città contò più abitanti, banche, fabbriche, alberghi e perfino rappresentanze diplomatiche della stessa Sofia, soprattutto grazie alle famiglie di mercanti armeni, ebrei, greci e tedeschi che portarono ricchezza economica e culturale.

Ma nell'ultimo dopoguerra con il totalitarismo arrivò il decadimento, perfino sanitario: per non compromettere le relazioni di "amicizia" con Ceausescu, i comunisti bulgari tollerarono un impianto chimico romeno sull'altra sponda del fiume che causò problemi respiratori a generazioni di bambini di Ruse, oltre che di Giurgiu, e ancor prima del rilascio radioattivo di Kozloduy la speranza di vita nelle due città era più bassa delle già scadenti rispettive medie nazionali, per cui alcolismo e tabagismo endemici si sommavano a tutte le forme di inquinamento immaginabili determinando una vita più breve di dieci anni per le femmine balcaniche, e di quindici per i maschi, rispetto all'Europa occidentale.

Attraversarono il fiume e in meno di due ore arrivarono all'aeroporto Otopeni di Bucuresti per un balzo verso quello Feryhegy di Budapest. L'Ungheria era stata per Olivier una seconda patria dove aveva trascorso anni felici. Si muoveva nella capitale da Bartok Bela ut a Karoly korut, da Vorosmarty ter a Dozsa Gyorgy ut come se fosse a casa. E in effetti non aveva bisogno di dormire in albergo perché una casa a Buda la possedeva. Era situata in magnifica posizione panoramica dietro la collina di Varhegy, al numero 31 di Logodi utca, lo stesso appartamento dove negli anni trenta aveva vissuto Babits, e questo fatto aveva grandemente influenzato la sua scelta di acquistarla appena lo aveva saputo. Scrittore diffidente e solitario, nei suoi romanzi fine esploratore di fenomeni psicologici e nei suoi saggi promotore di valori antifascisti, come direttore del mitico giornale letterario Nyugat, che morì con lui nel 1941, Mihaly Babits aveva aperto una finestra sull'Europa occidentale e sposato la causa della riforma sociale politicamente radicale. Inoltre, come amante delle culture greca e latina, oltre alla Divina commedia aveva tradotto gustosi versi erotici: nessun luogo poteva perciò essere più adatto di quella casa, nessuna atmosfera più romantica di un tramonto sulle colline della capitale, quel sabato di giugno che segnò il termine di un'astinenza sessuale pluriennale e la riscoperta per Olivier di una sana, moderata attività sessuale.

Si concessero una domenica di sosta dal tour de force elettorale e dopo avere spiazzato i paparazzi uscendo prestissimo trascorsero insieme una splendida giornata di relax sull'isola Margherita, con tanto di bagni palatini, promenade degli artisti, giardini giapponesi, frisbee, picnic e giro in carrozza mano nella mano. Conclusero la giornata deponendo una rosa per riconoscenza sulla tomba di Babits al cimitero Kerepesi - dov'erano sepolti anche Petofi e gli altri grandi della letteratura ungherese -, come Olivier usava fare su quella di Pasolini quando gli capitava di passare in Friuli da Casarsa della delizia. Il giorno seguente, in auto sulla via per Praga, scelsero di fare il giro largo per pranzare sull'ansa del Danubio ad Esztergom, che di Babits era la città natale, ed arrivarono nella capitale ceca prima che facesse buio. Era nuovamente un territorio slavo nel quale Olivier si sentiva a suo agio e Michel un po' meno. Se Canetti li aveva salutati lasciare la Bulgaria per consegnarli all'ungherese Babits, a Praga non li accolse nessuno dei giganti della letteratura ceca. Non fu Kafka, non furono Havel, Klima o Kundera, ma la Nina Balatka di Anthony Trollope a prenderli come complici nell'attraversare la Vltava da Stare Mesto a Mala Strana tra i santi barocchi del ponte Karluv, sotto la luna piena che a tratti svaniva per lasciarli smarrire in un bacio rapido e appassionato.

Il programma nella capitale ceca non era pesante, prevedeva solo due appuntamenti importanti: il primo consisteva nella visitina di cortesia all'ambasciata d'Europa, che come palazzina anche a Praga era rimasta quella italiana (ma non l'ambasciatore) in un'ottima posizione sulla Nerudova sotto il castello. Il secondo era un incontro prevedibilmente noioso con i piccoli imprenditori locali all'hotel Business, un grattacielo al capolinea di Haje della metropolitana C. Quando poteva, Olivier amava viaggiare con i mezzi pubblici: era sempre stato nel suo stile perché le piaceva potersi arrangiare da sola e inoltre costituiva un lieve tocco demagogico per l'elettorato ambientalista. Giunti al capolinea presero la scala mobile verso l'uscita e raggelarono: sulla scala mobile che correva parallelamente in discesa riconobbero Mauro Suttora significare loro con lo sguardo di fingere non conoscerlo.

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