Non mi oso pensare! Ultimo comizio

ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale

Tale era, in sintesi, il contenuto agghiacciante del documento che riassumeva la conquista del potere con un sorriso rassicurante al primo mandato, coi successi a furor di popolo al secondo, l'ultimo per il quale si sarebbe votato, e col terrore al terzo, quello definitivo. Il documento, lasciato da Armando Krocikkio al riparo da occhi indiscreti sulla scrivania del suo studio inaccessibile, era stato scritto personalmente da Kapezzonen senza servirsi di altri collaboratori che la candidata vicepresidente Zylvya Burleskonner, l'amante Chrispa Tonza-Strassholden e Krocikkio stesso, che veniva talvolta invitato a partecipare ai loro sublimi giochi erotici. La figlia di questi Samantha era dunque solo la quinta persona che avesse potuto leggerlo, e decise quasi subito fosse il caso di estendere il privilegio a un sesto soggetto, qualcuno disponibile a prendere la faccenda molto seriamente. Per due giorni di seguito si appostò pazientemente sorseggiando bibite sotto l'ombrellone sul marciapiede del baretto prospicente la piccola palazzina al 29 di ulitsa Gladstone che ospitava la nuova ambasciata israeliana a Sofia. L'edificio sembrava inanimato. Probabilmente il personale, che consisteva in pochi funzionari, era tutto in vacanza, tranne un'anziana donnetta che Samantha notò andare e venire dal secondo piano al baretto stesso, dove sedeva sorseggiando succo di pompelmo e sfogliando un giornale al contrario.

Effettivamente, in assenza dell'ambasciatore e dei suoi collaboratori, Abu Gail era stata lasciata per una settimana da sola a reggere l'ambasciata e poiché l'attività era scarsissima, le giornate molto belle e molto poco vestite le ragazze che passeggiavano tra i negozi del vicino boulevard Vitosha, l'anziana ma arzilla addetta militare poteva trascorrere lunghe ore di ozio contemplando le lunghe gambe, avendo trasformato in ufficio il tavolino del bar, con il telefono cellulare e quello cordless della linea fissa. Con quel sole non si aspettava che piovessero segreti di stato. Un pomeriggio, inaspettatamente, la ragazzina che da un paio di giorni sorprendeva a studiarla facendola sentire un animale strano si alzò di scatto e scappò via confondendosi nelle altre belle gambe, ma non prima di averla fissata intensamente con le labbra serrate e lo sguardo implorante, depositandole sul tavolino un voluminoso documento rilegato in una copertina nera recante lo stemma dell'Istituto commerciale europeo.

Era scritto in tedesco e Abu Gail, che era nata in Germania durante la guerra, non ebbe grandi difficoltà a decifrarne il contenuto, tanto più che recava molte espressioni tristemente familiari. Il documento si rivelò subito una lettura molto più istruttiva del farneticante quotidiano arabo che Abu Gail gettò via per ritornare rapidamente nel suo ufficio sentendo crescere l'angoscia. Il tono, lo stile, i precisi richiami storici e la pregiata carta stessa sul quale era stampato non lasciavano dubbi, non poteva trattarsi di un falso. Volse un pensiero alla ragazza: chi era? Dove aveva preso il documento? Perché l'aveva voluto dare proprio a lei? Concluse che era inutile lambiccarsi, erano domande destinate a restare senza risposta. Sicuramente invece non sarebbe rimasto senza risposta il delirio nazista che sfogliava sentendo gonfiarsi gli occhi di lacrime rabbiose. Chiunque fosse la ragazza, aveva fatto la cosa giusta, perché Abu Gail sapeva precisamente cosa fare. Due cose. Inviò un messaggio cifrato a Tel Aviv e col telefono compose il numero di Mauro Suttora.

L'atmosfera della campagna elettorale si era progressivamente riscaldata fino a farsi rovente il venerdì 20 giugno 2014, l'ultimo giorno prima del tradizionale silenzio del sabato e il voto di domenica. Mentre Kapezzonen aveva banalmente scelto l'ambiente casalingo di Berlino per il suo ultimo comizio, dalla terrazza ristorante al quinto piano dell'albergo Licheni, Olivier Dupuis arringava una folla altrettanto oceanica adunatasi nella piazza dell'Assemblea nazionale e che si estendeva fin dietro l'edificio del parlamento a riempire anche la piazza della cattedrale. In piedi al suo fianco c'era Romano Prodi e alle loro spalle Marco Pannella, ancora una volta a Sofia, mentre defilati verso l'interno degustavano il gelato Orietta Callegari e Piero Welby. L'incorreggibile ambasciatore Scaruffi aveva preparato per quella sera un altro ricevimento dal quale non avrebbero potuto esimersi, tranne Pannella che aveva sufficiente autorevolezza per potersi permettere di ignorare tutti quegli insulsi tromboni e riposare senza muoversi dallo stesso albergo Licheri in attesa di tornare a Malbosc il giorno dopo; e tranne Prodi che aveva sufficiente arroganza per declinare l'invito e partire per Istanbul su un vagone prenotato tutto per lui sull'Orient Express in partenza dalla Tsentralna gara.

Suttora beveva con Pannella al bar del mezzanino in compagnia di una anziana ma arzilla signora che tramite Mauro aveva insistito per incontrarlo, mentre Michel e Olivier avrebbero dovuto sottoporsi ancora a qualche ore di tortura e poi tornare a Budapest dove avrebbero finalmente goduto di uno splendido sabato riservato esclusivamente a loro. Lungi dal rattristarlo, la recente vedovanza dell'ambasciatore sembrava invece averlo ringalluzzito, al punto che aveva chiesto e ottenuto dal protocollo parlamentare, ai cui funzionari aveva per decenni dispensato generosamente visti, di utilizzare il parlamento stesso per il suo megaricevimento in onore dei candidati presidenziali, che questi si fossero o meno presentati. Dei due sfidanti, accompagnato da Michel Boselli si presentò solo Olivier Dupuis in un abito lungo con la schiena scollata e spacchi mozzafiato che causò stizziti mugugni di invidia tra le numerose carampane.

Quello dell'Assemblea nazionale era un modesto edificio di fine ottocento che spariva al confronto con la casa del partito. Si sviluppava su tre piani, con l'aula, il buffet, gli uffi di presidenza e capigruppo al pianterreno; l'ufficio stampa, i palchi per gli osservatori e la biblioteca al primo piano insieme ad alcune aule delle commissioni, le restanti delle quali insieme ad uffici minori occupavano un ultimo piano di minor superficie. Il seminterrato ospitava l'abominevole ristorante self service e gli unici cessi, nell'occasione affollatissimi in considerazione della grande quantità di liquidi assunta dai duecento occupanti abituali, i rappresentanti del popolo bulgaro, e circa altrettanti abitudinari dei generosi ricevimenti scaruffiani. Apparentemente oltre la cucina e le cantine refrigerate c'era solo la polverosa centrale di riscaldamento che era stata ricavata in un secondo tempo in un vano troppo piccolo e perciò era difficoltoso muovercisi dentro, sia per i tecnici della manutenzione che a maggior ragione per Cappato sotto la minaccia dell'arma di Krocikkio.

Il vile bavarese lo aveva colto di sorpresa nel cesso e gli aveva puntato alla nuca la gelida canna della pistola intimandogli di obbedire tacendo, e sempre standogli alle spalle lo aveva spinto in quel piccolo labirinto dove un tombino arrugginito ma chiuso da un lucchetto nuovo lucido dava accesso a un pozzetto che conduceva alla rete di tunnel sotterranei. In meno di mezz'ora dalla sparizione di Cappato dal ricevimento, Krocikkio era già tornato al ricevimento dopo averlo spinto sotto la minaccia dell'arma fino alla camera di tortura sotto la sua villa in ulitsa San Stefano, costretto il condannato a morte a denudarsi completamente, ammanettandolo in piedi ei polsi e alle caviglie in una innaturale, vulnerabile posizione a X, come se si stesse apprestando a squartarlo, e ripercorso a ritroso la stessa via badando a pulirsi bene le scarpe prima di riapparire in parlamento, dove avrebbe trascorso qualche ora simulando preoccupazione prima di uscire nuovamente, ma dalla porta principale, insospettabile e indisturbato. Fremette l'agitazione quella sera, nei corridoi del parlamento, per l'inspiegabile scomparsa da numerose puntate di Marco Cappato, il popolare culturista e imbianchino brianzolo compagno dello scrittore anarchico Vittorio Boselli, che era estremamente preoccupato e convinse l'ambasciatore - riluttante a rovinare il suo bel ricevimento - a rivolgersi alle forze di polizia, che in considerazione dell'importanza dell'illustre ospite straniero montarono una vasta ricerca nella zona circostante e attivarono una serie di posti di blocco attorno al centro. Ma a nessuno venne in mente di cercare sotto, nella zona circostante.

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