NYLON!, capitolo 26.

Prestwick, lunedì 1 novembre, ore 0600 locali. Bonino emozionatissima zig-zagando a deztra e ziniztra si decise ad afferrare la cloche nella ziniztra e il maniglione nella deztra per dare massima potenza ai reattori. Un paio d’ore dopo scorsi fioche in lontananza le luci di Reykiavik. Erano sempre le 0600 locali ed era venuto il momento di agire. Dormivano tutti, in prima classe, tranne Antonio Pisani Ceretta al quale feci il segnale convenuto. Anche Ceretta aveva un gemello, perfettamente identico, dal quale lo si poteva distinguere solo perché uno dei due portava la barba. In origine era quella di Ceretta stesso, ma era incompatibile col cognome e soprattutto si era manifestata l’esigenza cinematografica di dotare di barba il gemello Gabriele Sessarego per fargli interpretare la parte del nemico pubblico e ricercato mondiale numero uno, il terrorista ceceno Olivier bin Dupuis. Ceretta riemerse dal pozzetto nel corridoio dopo averlo rabbrividendo recuperato nel cargo, con la barba (ex-Ceretta su bin Dupuis) surgelata. Il turpe vallone incarnazione del male ci era abituato, dopo avere trascorso gli ultimi mille giorni nascosto nelle profondità di una miniera belga, rimuginando nei minimi particolari la sua terribile vendetta contro i blasfemi radicali che in quel glorioso Armagheddon si sarebbe finalmente materializzata. Era stato proprio il mefistofelico bin Dupuis, mille giorni prima, a infiltrarmi nei lib-dem britannici affinché potessi poi infiltrarmi nei radicali italiani, prevedendo nella sua diabolica-mente contorta ed oscura che i primi avrebbero tentato il take over dei secondi con un’Opa ostile al congresso di New York, dove però le loro azioni e gli azionisti stessi sarebbero letteralmente precipitati di lì a poco. Verrebbe da chiedersi come mai non mi avesse infiltrato direttamente nei radicali lasciando in pace i lib-dem, ma le vie del bin Dupuis sono imperscrutabili, specialmente il lasciare in pace qualcuno e, soprattutto, per poter arrivare a questa decima puntata bisognava pur accontentarsi dei meschini artifici narrativi di cui disponiamo noi sfigati scrittori bulgaro-scozzesi. Scongelataglisi la barba, bin Dupuis si guardò attorno roteando negli occhietti satanici il mai sopito rancore in una espressione di mistica soddisfazione che tutto andasse come previsto nell’imminenza del paradiso: bin Dupuis era talebanicamente cattolico. Mi fece segno di procedere al recupero dell’arma. Dalla tasca interna del Tosoni profondamente russante estrassi il Carlomanera pieghevole e con Ceretta e il fattore sorpresa facemmo irruzione nella cabina di pilotaggio. Bonino si dimenò come una furia ma dopo qualche istante di colluttazione Ceretta ebbe ragione di lei immobilizzandola e avviluppandola nel nastro adesivo da pacchi come una mummia egizia, mentre io faticai molto di più nel tentare di stordire Pannella carlomanerizzandolo in profondità alla massima potenza. Strano animale extraterrestre, sembrava quasi che gli piacesse, se ne mostrava elettrizzato. Proprio quando le batterie stavano per esaurirsi, finalmente perse i sensi e nel nastro adesivo potemmo confezionare anche il grande leader nonviolento che da mulo abruzzese si era trasformato in cavallo di Troia incinto di questa indecorosa autocitazione. Carbonizzato e fondente, il carlomanerico crocifisso fallico era ormai da buttare, ma in nome della causa ne era valso il sacrificio, e poi tanto non serviva più aveva compiuto la sua funzione, missione, nel consentirci d’impadronirci dei comandi del gigantesco missile umano. Chissà, stando alla tradizione popolare dopo tre giorni sarebbe risorto improvvisandosi eterosessuale per i secoli a venire. Alle ore 0600 locali entrammo nello spazio aereo controllato dal radar di Halifax, che ci diede il benvenuto sull’altra sponda dello stagno. Rispondemmo allegramente spacciandoci per i piloti della Svirgin, addestrati come eravamo da anni di ascolto di Radio radicale ad imitare io la tosse di Pannella e quel culattone di Ceretta le zeta della Bonino. Un ultimo, definitivo requiem non sarebbe stato più appropriato per l’intero partito politico che - sospeso per aria ignaro del suo imminente, infausto destino -, si risvegliò dapprima dolcemente col graduale cambiamento di pressione in discesa e poi definitivamente alla percezione del piccolo urto quando estrassi i carrelli non appena entrai in contatto visivo col JFK alle 0600 locali.


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