NyLon!, capitolo 6
Come ogni turista radicale padovano saprebbe
spiegarvi, Brompton è l’area più frocia della capitale britannica. E come ogni
settimana sì e una no, con le ragazze tremila miglia lontane dall’altra parte
dello stagno, agghindate di tutto punto io e Andrea parcheggiamo il suo furgone
in Philbeach Gardens per il lipstick party del lunedì sera. La mia amica turca
era tutta in rosso dalla parrucca alle d’orsay di vernice, io bionda più sobria
in nero con i sandali, entrambe traballanti su quelle piacevoli torture a
spillo che sono la seconda sensazione più bella del mondo. I lipstick party del
lunedì sera al Philbeach Gardens erano gradevoli occasioni sociali affollate di
simpatici travestiti. Alcuni oltre i cinquanta feriti nella psiche e
amareggiati per non avere potuto esprimere liberamente l’altra metà della loro
sessualità nei migliori anni dei loro corpi ormai decadenti, alcuni altri
disperati e patetici nell’esibizione volgare di non-abbigliamenti puttaneschi,
ma nel complesso tutti gentili e spiritosi. Tranne i calvi e ciccioni turisti
americani che venivano a curiosarci e sghignazzare. Chissà perché erano sempre
e solo gli americani a infastidire. Che si trattasse di un intero popolo con
problemi psichiatrici? No, purtroppo si era sparsa la voce e tutti i calvi e
ciccioni sessuofobi dello Iowa approfittavano delle tariffe della Svirgin per
venire a fare nella vecchia Europa quello che si vergognavano di fare a casa
loro. La politica, la politica, cheppalle. Ne parlavo con Andrea sui sedili
anteriori mentre Andrea trombava Nicola nel cargo del suo attrezzatissimo
furgone con letto doppio, telecamere, specchi e vasca jacuzzi, ché visto che
era friulano si dovrebbe dire iacuzzi e non giacuzzi come gli americani,
polemicamente spiegavo ad Andrea. Mi rendo conto che c’è un po’ di confusione,
chiariamola. Avevamo finalmente rimorchiato le due più belle transessuali del
party, alle quali facevamo la corte da tempo. Nicola con l’accento sulla i era
la ladyboy maitre d’O del ristorante thai al piano di sopra, con una bocca da
sogno e sempre addobbata in scollature e spacchi mozzafiato. Andrea era
un’altra Andrea barista dietro al banco del party, dove mi sventolava sotto il
naso un paio di eccezionali tette naturali. Ormonali, sì, ma non chirurgiche,
tette vere, non di quelle sgradevolmente silicose al tatto. Col passar degli
anni si sarebbero ammosciate e raggrinzite, ma per intanto erano carne al punto
giusto di cottura tra tenerezza e consistenza. Dunque succede che nel cambiare
sesso ‘ste due giaguare sciagurate vanno a scegliersi nomi che in inglese sono
femminili ma in italiano suonano maschili. Questo tanto per chiarire che quando
parlo delle tette di Andrea intendo quelle della barista transessuale, non
quelle del turco. Ahò, non siamo mica froci!
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