Granzotto contro Pavon in Alcologia San Michele - Capitolo 4

- Dino, dammi un Crodino! Ah ah ah!

Francesco Corleo apostrofò beffardo il collega infermiere Dino Fischet, che per arrotondare lo stipendio a fine settimana alterni e nei giovedì di coppa vendeva bibite nella curva nord dello stadio Friuli, dove quella fatidica domenica 26 febbraio si giocava lo scontro al vertice della classifica Udinese-Catania che avrebbe lanciato solo una delle due squadre nella corsa al loro primo scudetto. Maledetto terrone, rimuginò rancoroso lo sventurato paramedico perseguitato fin dall’adolescenza da quella stupida battuta pubblicitaria, e che invece del Crodino avrebbe dato volentieri del cretino all'odioso etneo che gli aveva rubato il cuore della loro avvenente collega Giannina Tosoni da Clauzetto, della quale era da anni segretamente innamorato ma troppo timido per dichiararsi, così come era troppo timido per dare effettivamente del cretino a Francesco, il quale, originario di Marsala, per essere trasferito e stare vicino a Giannina aveva letteralmente fatto carte false cambiando su tutti i documenti il suo vero cognome Barolo in Corleo, altrimenti in Alcologia non avrebbero mai assunto un Francesco Barolo di Marsala.

Era finalmente giunto per Dino il momento di attuare la vendetta che pianificava da tempo: gli servì un Crodino adulterato con un mix dei più velenosi medicinali disponibili nella farmacia del reparto Alcologia, e Francesco si accasciò in un decesso istantaneo nell'indifferenza generale dei tifosi coreografati dalla loro leader Giannina quando al novantesimo minuto Totò Di Natale si apprestava a battere il calcio di rigore che avrebbe potuto finalmente sbloccare lo snervante pareggio senza reti, ma il bomber bianconero tirò clamorosamente alta sopra la traversa una violentissima cannonata che andò a colpire proprio Giannina Tosoni in pieno volto, il pallone staccandole e sostituendosi alla testa, lasciando così lo sconfortato Fischet, nel tempo libero arbitro dilettante, senza concorrenti in amore ma tragicamente privato anche dell'oggetto del desiderio per il quale si era inutilmente macchiato di omicidio. Perlomeno, si consolò Fischet mentre nei minuti di recupero il Catania segnava il gol della vittoria, il fottuto corleonese non avrebbe potuto partecipare al funerale di Giannina, già impegnato essendo nel proprio.

E fu dopo le esequie dei due, martedì 28 febbraio, che il vile Pavon colse alle spalle Granzotto pisciare nel cesso dell'hotel San Michele durante il ricevimento in onore dell’ennesimo riconoscimento per l’innovativo saggio sull'interruzionismo interrogativo pre-nigeriano. Gli puntò alla nuca la gelida canna della pistola intimandogli di obbedire tacendo e sempre standogli alle spalle lo spinse in un pozzetto che tramite un tunnel sotterraneo condusse Granzotto sotto la minaccia dell'arma fino alla camera di tortura sotto la sua villa in corso Michele III. Qui fece denudare completamente il condannato a morte e ne ammanettò polsi e caviglie in una innaturale, vulnerabile posizione a X, come se si stesse apprestando a squartarlo. 

Per ore e ore Granzotto fu costretto all'orribile visione del cadavere mutilato degli arti di Dino Fischet, che evidentemente l'aveva preceduto nello stesso trattamento, urlando per il dolore lancinante che sentiva spaccarlo in senso longitudinale mentre l'abnormodotato lo sodomizzava a sangue, finché d'un tratto dal nulla Viviana gli sgusciò davanti con un'accetta antincendio che aveva preso di sopra vicino all'estintore, e sfruttando la sorpresa del padre gli si avventò contro con tutta la sua forza per tranciargli di netto il martello pneumatico di carne che lo saldava al retto della sua vittima. 

Ansimando gemiti di sollievo, ma professionalmente senza esimersi dal domandarsi cosa egli stesso si sentisse dentro in quel momento, Granzotto eiettè il membro afflosciato, serpe del male che per qualche istante continuò ad agitarsi sul pavimento come se fosse animato di vita propria, sotto gli occhi inorriditi di tutti gli astanti, compreso l'evirato Pavon che sopravvisse nonostante la copiosa emorragia. Dopo un processo sommario Protervio Pavon sarebbe stato chimicamente castrato e internato a vita nell’adiacente reparto di ostetricia e ginecologia.

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