Granzotto contro Pavon in Alcologia San Michele - Epilogo

- Ci sedemmo dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati e i suoi figli, mister Jones, non sono figli suoi. Sono i figli e le figlie della vita stessa. Lei è l’arco che lancia i figli verso il domani. Ed è anche un cornuto.

Mercoledì 29 febbraio il professor Granzotto concluse tardi la lezione ai suoi studenti abilmente destreggiandosi tra Bertold Brecht e Khalil Gibran nel rivolgersi a salutare l’esimio collega nigeriano Marty Ruben Jones, che a sua volta lo aveva ospitato a Lagos durante il simposio mondiale della SIIIIIIIII, Società Internazionale di Indagine sull’Inesplicabile Interruzionite Interrogativo-Ipnoinduttiva Intrinsecamente Innata dell’Io, della quale erano co-presidenti, e i due luminari si salutarono interessandosi reciprocamente di come si sentissero in quel momento, come sempre senza rispondersi e prendendo direzioni opposte. 

Granzotto era appena stato informato della tragica scomparsa di Diana e devastato dal dolore si diresse verso la sala esequie per portarle l’ultimo saluto, oltrepassando noncurante i cadaveri putrescenti delle inservienti Loretta Busdachin e Monica Spolaor che erano appesi da giorni in corridoio senza che nessuno si fosse preoccupato di rimuoverli liberandone gli esofagi dai nodi scorsoi alle estremità della stessa corda, cappi nei quali le stesse due sciagurate si erano volontariamente infilate per godere in un gioco erotico finito nella tragedia del loro ultimo soffocante amplesso.

In obitorio trovò ancora in vita solo la responsabile Dolores, intenta a truccare i cadaveri di Viviana Pavon e Marika Serracchiani, suicidatesi nel pomeriggio gettandosi nel Tagliamento dopo che il Granzotto stesso ne aveva scoperto la torbida relazione omosessuale e severamente redarguite. Il rettore contò 14 cadaveri nella cella frigorifera, comprese moglie e amante. L’intero reparto Alcologia, mancavano solo il gatto rosso Claudio, latitante dopo il claudicidio della segretaria Callegari, ed egli stesso, condannato all'eterno supplizio dell'Ebreo errante di Fruttero e Lucentini.

Completamente denudatosi provò la sua ultima sensazione, un brivido nel distendersi sul gelido acciaio inox del tavolo autoptico, ed azionò la sovrastante sega circolare nel bagliore di una lampada accecante come il contraddittorio sole della sua solitudine. Dalle caviglie la lama gli salì lentamente sfiorando le gambe fino allo scroto in titanio rivestito di teflon e qui iniziò il suo macabro quanto scintillante lavoro dicotomico. L’orologio alla parete segnava pochi secondi alla mezzanotte e al salto nell'ignoto della dimensione spazio-temporale parallela di giovedì 30 febbraio.

FINE

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