Granzotto contro Pavon in Alcologia San Michele - Capitolo 2
Nel pomeriggio di quella stessa domenica che Granzotto aveva assaporato sulle quattro labbra della caposala Diana Bernardini, la di questa sottoposta infermiera Marika Serracchiani atterrò puntuale a Ronchi dei Legionari sul volo da Roma, dove come ogni anno si era recata in udienza privata dal Papa per rinfocolare il suo fervente disprezzo anticlericale. Si sentiva perciò in forma smagliante e desiderosa di festeggiare al più presto con un sano omicidio di prete ortodosso. Se c'era infatti qualcosa che le faceva ancora più schifo dei preti cattolici erano i preti ortodossi, sempre sporchi e spesso ubriachi, molti dei quali taquero per vigliaccheria durante il totalitarismo e alcuni ne furono complici per progredire nelle gerarchie ecclesiastiche moralmente corrotte nominate dai comitati centrali dei partiti comunisti dell'Europa centro-orientale.
Nella sua ancora breve ma intensa carriera di infermiera sicaria ne aveva fatti fuori parecchi, di preti ortodossi, nel reparto Alcologia dove si diresse spedita pur consapevole che in quel periodo non vi era ricoverato nessuno di quegli "scarafaggi" che abitualmente "eutanasizzava", come amava pensare, con potenti endovenose di LSD, affinché delusi dall'assenza del loro presunto dio vedessero almeno i fuochi artificiali. In fondo, si giustificava con le sue coscienza ed etica paramedica, tale sistematica attività omicida era di beneficio, oltre che ovviamente alla collettività, anche agli stessi scarafaggi, privilegiati perfino nella morte da un orgasmico trapasso psichedelico.
In mancanza di prelati in Alcologia, a colpo sicuro ne trovò un paio nella cappella ortodossa dell'ospedale, anch'essa intitolata a San Michele in omaggio a Granzotto e che, convenientemente situata accanto all'obitorio, avrebbe risparmiato tempo e fatica ai suoi colleghi anatomo-patologi. Svuotatasi la cappella dopo la funzione, padre Gilbert Dromedario e padre Julian Zamparrosto camminavano affiancati in atteggiamento ieratico consumando le pietre vetuste, ammantati in un'aura di trasfigurazione, di quando in quando sostando davanti a un'icona e con un gesto misurato passandosi la mano sulle teste pelosamente autocefale come la logica del dogma. Li seguì discretamente nella speranza si dirigessero verso la penombra della sacrestia male illuminata, e il loro dio volle che così facessero.
Con un singolo taglio esperto recise loro le gole dall'orecchio destro di uno a quello sinistro dell'altro e poi accuratamente scuoiò loro le barbe, in quei pochi istanti assaporando il gusto del duplice omicidio fine a sé stesso, mentre osservava in religioso silenzio i cadaveri mutilati dei peli facciali divenuti reliquie che avrebbe conservato come ennesimo trofeo. Erano suoi giovani coetanei di circa quarant'anni o poco più, forse non erano che incolpevoli chierichetti quand'era caduto il muro di Berlino. Un corridoio dopo l'altro Marika risalì il labirinto ospedaliero verso una meritata pinta di Moretti doppio malto per esorcizzare la pagana cerimonia apotropaica, abbandonandosi alla dolciastra malinconia che sempre la pervadeva dopo ogni sacrificio umano con l'ineluttabilità di una tristezza post-coitale.
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