Granzotto contro Pavon in Alcologia San Michele - Capitolo 1

Domenica 26 febbraio 2012 il dottor Michele Granzotto, filosofo e psicologo di fama mondiale, uscì fischiettando di felicità dal suo appartamento situato dietro la collina di Varhegy, al numero 31 di Logodi utca, lo stesso appartamento dove negli anni trenta aveva vissuto il suo omonimo Mihaly Babits, e questo fatto aveva molto influito sulla sua scelta di acquistarlo come seconda casa per rifugiarsi a Buda ogni fine settimana che poteva trascorrere con la caposala Diana Bernardini nella complicità della loro relazione clandestina. 

Come lui scrittore diffidente e solitario, nei suoi romanzi fine esploratore di fenomeni psicologici e nei suoi saggi promotore di valori antifascisti, da direttore del mitico giornale letterario Nyugat Babits aveva aperto una finestra sull'Europa occidentale, sposato la causa della riforma sociale liberale e, amante delle culture greca e latina, oltre alla Divina commedia aveva tradotto gustosi versi erotici. Nessun luogo poteva perciò essere più adatto di quella casa, nessuna atmosfera più romantica di un tramonto sulle colline della capitale magiara, quella sera precedente che per Granzotto segnò il termine di un'astinenza pluriennale e anche per Diana la riscoperta di una sana, moderata attività sessuale. 

Si concessero una splendida domenica di relax sull'isola Margherita, con tanto di bagni palatini, promenade degli artisti, giardini giapponesi, frisbee, picnic e giro in carrozza mano nella mano, per concludere l'ultimo giorno da 59-enne di Granzotto deponendo una rosa per riconoscenza sulla tomba di Babits al cimitero Kerepesi, dov'erano sepolti anche Sandor Petofi e gli altri grandi della letteratura ungherese, come Diana usava fare su quella di Pasolini quando le capitava di passare da Casarsa della Delizia. 

Il giorno dopo, in auto sulla via del ritorno, scelsero di fare il giro largo per pranzare sull'ansa del Danubio ad Esztergom, che di Babits era la città natale, e rientrarono a Udine prima che facesse buio sul sessantesimo genetliaco di Michele. Era nuovamente un territorio friulano nel quale Diana si sentiva più a suo agio, ma se la Esztergom di Babits avevano salutato con una sbirciata oltre il fiume su Kafka, Havel, Klima e Kundera, ad accoglierli al confine triestino non fu nessuno dei giganti della letteratura mitteleuropea. Non fu Svevo e neppure Joyce, ma la Nina Balatka di Anthony Trollope a prenderli per mano nell'attraversare il Natisone sotto la luna quasi piena che a tratti svaniva per lasciarli smarrire in un bacio rapido e appassionato, prima di separarsi per arrivare ognuno per conto suo all'ospedale San Michele dell'università San Michele Arcangelo di San Michele del Friuli: località, ateneo e nosocomio che il primario era modestamente convinto fossero intitolati in suo perenne ricordo.

Quivi giunto, incupitosi in volto per una terribile scoperta, Granzotto fece il suo ingresso nell'aula già gremita di studenti della facoltà di Alcologia. A cancellargli il ricordo del meraviglioso fine settimana budapestino aveva già provveduto sua moglie, la bionda infermiera Darianna Veronetto in Granzotto, regalandogli per il compleanno una disgustosa cravatta a pois color fucsia che per non essere costretto ad indossare lo indusse a commettere un mattiniero uxoricidio. Perché Darianna lo odiava tanto da regalargli una cravatta color fucsia? Sospettava forse della sua relazione con Diana? Con queste domande avrebbe voluto interrogarla per indagare su cosa lei si sentisse veramente dentro, ma non l'avrebbe mai saputo, dopo averle scaricato una raffica di proiettili nel petto. 

A rovinargli del tutto la giornata, in segreteria di facoltà era stato accolto dai resti di un corpo straziato, riconoscibile solo dalla parrucca nera a caschetto, tutto ciò che insieme allo scheletro rimaneva della sua assistente Claudia Callegari, meticolosamente ripulita di ogni organo interno. Non fu difficile al brillante luminare individuare sùbito il colpevole nel gatto rosso Claudio Feralgatti che, ancor più pasciuto del sòlito, si stava leccando i baffi in una sonnolenta digestione sulla poltrona riservata al rettore-primario. Incastrato dall'evidenza, il vorace felino stava per emettere un miagolio di confessione ma Granzotto lo prevenne, interrompendolo per chiedergli cosa si sentisse dentro in quel momento. Domanda retorica, si rispose trascinandosi penosamente in aula con tutta la massima mestizia che potevano esprimere i suoi tratti somatici di ecumenico sagrestano.

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