Alessandro Tessari, UNA FAVOLA NUCLEARE
7. IL PEC
Il PEC doveva avere degli amici influenti perché subito tutti i telefoni della Commissione cominciarono a trillare. Incroci di telefonate interurbane ed intercontinentali. I messaggi, che avevano tutti un tono più che supplicatorio, francamente ordinatorio, concordavano e insistevano su un fatto: il finanziamento NON doveva essere una tantum. Ma a cosa ancorarlo se il PEC non produce elettricità e quindi non ci sono chilottora da computare?, si chiedeva smarrita la Commissione. Che cosa si può trovare che abbia la stessa energia e vitalità crescente come quella delle turbine delle grandi centrali? In un commissario si accende la lampadina dell’intelligenza: ma certo, che diamine!, come non averci pensato prima? Altro che turbine, il PEC sì che è turbinoso nella crescita esponenziale dei suoi costi: ad un terzo dei suoi lavori ha già superato di tre volte la previsione di spesa finale.
Questa è un’idea! Risposero in coro i commissari per coprire la voce dell’ostruttore che era salita di qualche decibel di troppo. Nel tradurre l’idea luminosa in pratica, a qualche commissario venne il dubbio che la cosa fosse un tantino demenziale ma, dal momento che nessun commissario sembrava conoscere bene il PEC, il suggerimento venne accolto anche in considerazione del fatto che la richiesta di emolumenti sembrava modesta e quasi timida: solo il 5 per mille delle spese. Una sciocchezza. Erano tutti così felici di aver trovato un’intelligente soluzione ad un così delicato problema tecnico, con la scienza strettamente connesso, che nessuno badava alle imprecazioni dell’istruttore.
D’un tratto un commissario che stava al telefono getta la cornetta come se scottasse. Dalla cornetta che saltellava rabbiosa sul tavolo escono fiumi di insolenze: siete degli analfabeti! Grida la voce all’indirizzo dei commissari. Ma non sapete che il PEC costerà molto più di una centrale? E che soprattutto il suo costo sarà eterno?, azzarda smarrito qualche commissario. Perché non potrà mai essere completato, continua implacabile la cornetta. Altrimenti si scoprirà l’inganno, che il PEC non serve a nulla, che è già fuori tempo, già obsoleto. Obsoleto?, fanno eco sempre più impacciati i commissari che pensavano al PEC come a qualcosa di molto avanguardistico.
L’ultima risposta della cornetta chiarisce l’equivoco. Sì, il PEC è come la tela di Penelope: non deve mai finire. Durando eterno nel tempo, il PEC risolve molti problemi: dà lavoro ai giovani, allevia il disagio del Mezzogiorno, alimenta le industrie che ricevono gli appalti (quelle per costruire e quelle per demolire: una specie di industria perpetua). E come gran finale adesso alimenterà anche il comune che lo ospita. Eternamente.
I commissari si guardano tra loro un po’ imbarazzati. Si domandano a vicenda: ma tu cosa ne sai di questo benedetto PEC? Ma le risposte sono del tipo: vuoi dire “benedetta” perché PEC è una centrale e quindi femminile. Incerti anche sul senso del PEC, i commissari sprofondano nell’avvilimento. Da quanti anni è in piedi? Ma non è in piedi, perché non è finita, dunque è seduta. Sì, d’accordo, ma quando cominciò tutto questo? Panico profondo in Commissione. Nessuno ricordava quando fosse stata messa la prima pietra, né chi fosse stato il ministro inaugurale che aveva dato il primo colpo di cazzuola. La cosa stava veramente prendendo una brutta piega. Il presidente, con mossa maliziosa, mette la cornetta davanti all’altoparlante che mandava a tutto volume l’intervento fiume dell’ostruttore il quale, peraltro, non avendo molti argomenti, insisteva su un concetto monotematico: PEC-peculato, PEC-peccato, PEC-peculato, ripeteva ossessivamente che pareva quasi tartagliasse. Quando poi variò in “PEC-pacchia”, un commissario gli fece notare che non aveva proprio orecchio per la rima. Il presidente sperava, con la mossa del telefono, che l’anonimo interlocutore si rendesse conto che in Commissione c’era anche chi del PEC diceva un gran male.
A toglierlo da questo qui pro quo fu un sussurrio che veniva da dietro le spesse tende di velluto davanti alla porta d’ingresso. Tra le ampie pieghe di quelle tende, fin dall’inizio della discussione della legge, si era andata annidando tutta una serie curiosa di personaggi dalle etichette più strane.
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