Alessandro Tessari, UNA FAVOLA NUCLEARE

8. BRASIMONE E TRASIMENO

Scherzosamente erano chiamati gli amici dell’atomo, perché avevano un tale attaccamento alla legge che avevano deciso – in questo molto simili all’ostruttore – di non abbandonare la trincea fin quando la scienza non avesse trionfato. Anche loro, così, bivaccavano come l’ostruttore, senza mai andare a casa, senza cambiarsi la camicia. La sera,, si cucinavano un ovetto su un fornelletto alimentato da una piccola centralina atomica tascabile. Come spesso succede, questi opposti irriducibili avevano finito quasi per fraternizzare. Qualche volta gli amici dell’atomo avevano offerto la loro centralina atomica all’ostruttore perché si scaldasse un po’ di caffè ma ne avevano sempre ricevuto un rifiuto cortese. L’ostruttore riteneva di non dover mai smentire la sua fede nelle energie rinnovabili. Così, lui utilizzava una rudimentale turbina mossa dalla cascata irruenta dei fiumi di sudore che gli colavano dalla fronte durante i suoi inesauribili e concitati monologhi. Ognuno a modo suo puntava all’autosufficienza energetica e non dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti.

Gli amici dell’atomo spiegano al presidente che chi minaccia tuoni e fulmini al telefono è il comune limitrofo al PEC. Il quale, a nome di tutti i limitrofi, chiede l’estensione del beneficio in conformità alla filosofia della legge. Il presidente riferisce al relatore il quale relaziona ai commissari: è solo un problema perequativo, fanno tutti in coro. Ma è chiaro che è stata una svista, la nostra, aggiunge un commissario con la quinta marcia. Non essendo il PEC una centrale, è chiaro che il concetto di limitrofo, che valeva per i comuni con le centrali, qui non si applica se non si esplicita. Si espliciti, ordunque, fa soddisfatto il presidente. Così la Commissione nella sua sapienza salomonica decide di accogliere la richiesta dei limitrofi. E la legge distribuirà equamente i contributi al comune che ospita il PEC e “agli altri comuni limitrofi”.

Ma i problemi, lungi dall’apparir composti, si affacciavano via via sempre più scomposti. Riesplode la disputa che era già esplosa in occasione della dotta discettazione sull’ambiguità semantica del concetto di “limitrofo”. Alla fine il relatore, che nel gioco delle parti rappresenta la maggioranza di governo, consapevole che se si barricava dietro una interpretazione riduttiva del concetto di limitrofo avrebbe finito per dare soldi solo a qualche sindaco comunista – che vuoi trovare d’altro nell’Appennino tosco-emiliano? – decide per il pluralismo semantico. Il testo di legge recherà pertanto la significativa esplicitazione: “comuni limitrofi interessati”.

I commissari del loggione esplodono e voglio vedere io se qualche comune dell’intero arco appenninico non è interessato a partecipare alla spartizione di questa vera manna dal cielo! Nella fantasia dei commissari si accendono le luci delle grandi battaglie ideali. Lotte intercomunali: io sono limitrofo; no, tu no. Ma io sono interessato, come dice la legge. Insomma una vera guerra tra chi è limitrofo e interessato e chi è meno limitrofo e magari più interessato. Ad un certo punto, come sempre accade in queste situazioni, la sapienza esce fuori con la semplicità della verità. A decidere chi sia veramente chi sia “comune limitrofo interessato” veramente disinteressato sarà un tribunale superiore, quello della regione, sanzionano i commissari che non essendo mai stati a fare un pic-nic sul Brasimone – qualcuno continuava a parlare di Trasimeno – non sanno che l’area dei comuni limitrofi e interessati alla distribuzione di pubblico denaro investe più di una regione. Non hai fatto in tempo a sedare la rissa tra i comuni che già esplode la rissa tra le regioni che sono ambedue limitrofe e ambedue interessate alla questione.

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