Alessandro Tessari, UNA FAVOLA NUCLEARE

9. LA “393”

Ma la fantasia del legislatore è infinita. Non s’arresta mai alla prima difficoltà. C’era in realtà un piccolo problema che dava fastidio ai partiti della maggioranza ed era che ambedue le regioni cui sarebbe andato il finanziamento erano rosse. La cosa era inequivocabilmente fastidiosa. Perché, infondo, il governo, che rosso non è, deve, con la sua maggioranza, dare dei soldi a due regioni rosse che litigheranno continuamente per rivendicare la loro maggiore limitrofità e interesse ai soldi del PEC? La soluzione è come l’uovo di Colombo. E la maggioranza confezionerà il testo: “Ove l’intesa non venga raggiunta sarà provveduto con decreto del ministro per l’industria”. Questo almeno è di sicura fede, sbotta qualcuno. I comunisti sono felici. In cuor loro pensano che non litigheranno mai per non dare pretesto al ministro di mettere il naso in cose che sono solo tosco-emiliane.

Alla fine, rileggendo l’intero comma, qualcuno, dopo rapidi calcoli e pensando che è difficile trovare non solo nell’Appennino tosco-emiliano qualche comune che non sia in qualche modo interessato oltreché a ricevere il sussidio anche dagli eventuali guasti o fughe radioattive o trasporto di materiali pericolosi, ha pensato bene di arrotondare l’obolo del 5 per mille ancorandolo oltreché al costo del reattore, che è cifra a tutti sconosciuta – sembra aggirarsi attorno a un numero imprecisato di migliaia di miliardi – anche al costo “delle spese da sostenere per le opere civili”.

Come ognuno può ben vedere nel concetto “opere civili” non è racchiusa una cosa specifica ma qualunque cosa sia fattibile o pensabile: strade, ponti, viadotti aerei, autostrade a sedici carreggiate. Chi potrebbe negare a queste costosissime cose il diritto di essere considerate opere civili e quindi produttrici di quel beneficio del 5 per mille di cui parla la legge? Tutti i commissari a questo punto sono presi da invidia per non essere sindaci d’uno dei comunelli del PEC su cui sarebbe ricaduta una tale abbondante pioggia d’oro.

Straordinaria intuizione, questa, delle opere civili! Demolire una casa e costruirne un’altra per non meglio precisate esigenze del reattore. Chi può dire in fondo di conoscere le esigenze di un reattore così strano ed anomalo come il PEC? Ma perché limitarsi a una casa? Spostare interi villaggi, comuni, cittadine, tutto può rientrare nel concetto “opere civili”: spostare a valle i paesini arroccati in cima ai colli e trasferire sulle colline più alte i paesini sprofondati nel fondovalle. Magnifico, magnifico, esclamano tutti rapiti. Questa è la vera pietra filosofale!

Ad un certo punto tra i commissari si diffonde un po’ d’imbarazzo. L’ostruttore aveva preso minacciosamente ad agitare come una bandiera un foglio di carta. La “393”, la “393”, urlava con la sua voce stentorea, senza bisogno dacché in Commissione si sente benissimo anche parlando sottovoce. I commissari parlano spesso, per comodità ed economia di discorso, dando i numeri delle leggi cui si riferiscono e tutti capiscono o fingono di capire perché non è simpatico far mostra di non saper riconoscere una legge dal suo numero. Nessuno in realtà sapeva bene cosa volesse dire quel “393” così urlato, ma la sensazione diffusa era che evocasse qualcosa di sgradevole, un parente impresentabile che si tiene in cucina quando arrivano gli ospiti di riguardo, qualcosa del genere. Il presidente, interpretando una diffusa esigenza di essere tratti fuori da quella situazione di incertezza, fa sospendere la seduta. I quindici telefoni disseminati per la stanza vengono presi d’assalto. Incomincia una serie concitatissima di conversazioni, quasi tutte cifrate come sanno fare i più bravi agenti di borsa nelle giornate del listino caldo.

Nessun commento: