“È evidente
come ha detto lei”, intervenne Marc’Appat, “che la lettera è ancora nelle mani
del ministro; è il fatto di possederla e non l’uso che se ne può fare a dargli
potere. Usandola, il potere verrebbe meno”.
“È vero”,
disse PPPP, “e mi sono mosso con questa convinzione. La mia prima cura è stata
quella di procedere a una minuziosa perquisizione della dimora del ministro; il
mio principale ostacolo è dover cercare a sua insaputa. Soprattutto sono stato
avvertito del pericolo che deriverebbe dal fatto che sospettasse del nostro
piano”.
“Mi pare”,
disse Marc’Appat, “che lei si trovi au
fait in un’indagine del genere. La polizia parigina ha fatto più d’una
volta ricorso a questa pratica”.
“Certo! Per
queste ragioni non dispero. Le abitudini del ministro, poi, mi danno un grande
vantaggio. È spesso assente da casa sua per tutta la notte. I domestici non sono
tanti, dormono a una certa distanza dall’appartamento del loro padrone e poiché
sono in gran parte napoletani si lasciano facilmente ubriacare. Come sapete,
dispongo di chiavi capaci di aprire tutte le camere e gli uffici di Parigi. Per
tre mesi, non è passata notte in cui, per gran parte, io non abbia a lungo
frugato, personalmente, il Palazzo De Perlinghi. Ne va del mio onore e, in
confidenza, la ricompensa è enorme. Così non ho abbandonato le ricerche finché
mi sono convinto che il ladro era più astuto di me. Ritengo di aver esaminato
ogni angolo, ogni più piccolo ripostiglio in cui fosse possibile nascondere una
lettera”.
“Ma non si
può pensare”, insinuò Marc’Appat, “visto, come è sicuro che il ministro ha la
lettera, che egli l’abbia nascosta fuori di casa sua?”
“No! È
impossibile”, disse Dupuis, “lo stato attuale, particolare, degli affari di
Corte e la natura degli intrighi di cui De Perlinghi, come si sa, è coinvolto,
fanno dell’immediata possibilità di uso del documento, della possibilità di produrlo
istantaneamente, un punto importante quanto il possederlo”.
“La
possibilità di produrlo?”, disse Marc’Appat.
“Vale a dire
di distruggerlo”, disse Dupuis.
“È vero”,
sottolineò Marc’Appat, “la lettera è perciò evidentemente nella sua abitazione.
Quanto all’eventualità che si trovi addosso al ministro, possiamo considerarla
fuori causa”.
“Proprio
così”, disse il Prefetto, “per due volte è stato aggredito da falsi rapinatori
che l’hanno scrupolosamente perquisito sotto i miei occhi”.
“Si sarebbe
potuto risparmiare la fatica”, disse Dupuis, “De Perlinghi non è del tutto uno
sciocco, presumo, e se non lo è, deve aver previsto questi agguati come cosa
normale”.
“Non è del tutto uno sciocco”, disse PPPP, “ma è un
poeta, e questo, a mio parere, lo porta a un passo dall’esserlo”.
“È vero”,
disse Dupuis dopo una lunga tirata meditabonda della sua pipa di schiuma,
“anche se io stesso mi sono reso colpevole di qualche verso”.
“E se
cominciasse col raccontarci i particolari della sua perquisizione?”, disse Marc’Appat.
“In concreto,
abbiamo proceduto con grande calma e abbiamo cercato dappertutto. Ho una lunga esperienza di queste faccende. Abbiamo
perquisito l’intero palazzo, camera per camera, dedicando ad ognuna le notti di
un’intera settimana. Abbiamo poi esaminato i mobili di ogni sala. Aperto tutti
i cassetti immaginabili, e penso che voi sappiate che per un agente ben
addestrato non esistono cassetti segreti. Chi si lasciasse scappare un cassetto
segreto in una perquisizione del genere sarebbe un incapace. Il compito è talmente semplice. Ogni pezzo di una
stanza ha un volume e una superficie di cui bisogna render conto; a questo fine
osserviamo regole esatte, non può sfuggirci neanche la venticinquesima parte di
un millimetro. Dopo le camere abbiamo preso in esame le seggiole. I cuscini
sono stati sondati con quei lunghi aghi che mi avete visto adoperare. Abbiamo
sollevato tutti i ripiani dei tavoli”.
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continua]
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