“Lo si deduce chiaramente”, replicò il Prefetto, “dalla natura del documento e dalla mancata comparsa di alcuni risultati che ci sarebbero immediatamente se sortisse dalle mani del ladro; in altre parole, se fosse impiegato per lo scopo per cui costui deve proporsi, alla fine, di farne uso”.

“Cerchi di essere più chiaro”, intervenne Marc’Appat.

“Arriverò fino a dire che questo documento dà al suo detentore un certo potere in un certo ambiente in cui questo potere ha un valore immenso”. Il Prefetto aveva un debole per il  linguaggio diplomatico.

“Continuo a non capire niente”, disse Dupuis.

“Niente? Dunque questo documento, mostrato a una terza persona di cui non faccio il nome, metterebbe in questione l’onore di una personalità del più alto rango. Questo fatto dà al possessore del documento un potere sull’illustre personaggio di cui sono messi a repentaglio l’onore e la pace”.

“Questo presunto ascendente”, s’intromise Marc’Appat, “dipende dal fatto che il derubato sa chi è il ladro. Chi oserebbe…”

“Il ladro”, disse PPPP, “è il ministro De Perlinghi, che è capace di osare tutto, conveniente o sconveniente che sia per un uomo. La meccanica del furto è stata ingegnosa non meno che ardita. Il documento in oggetto, una lettera, per essere franco, è stata ricevuta dalla persona derubata mentre si trovava da sola nel boudoir reale. La stava leggendo quando improvvisamente fu interrotta dall’ingresso dell’altro illustre personaggio, proprio colui al quale voleva particolarmente nasconderla. Dopo essersi affrettata invano a tentare di gettarla in un cassetto, dovette lasciarla, aperta come era, su un tavolo. L’indirizzo era visibile, il contenuto era perciò nascosto, e quindi la lettera non attrasse l’attenzione. È in quel momento che arriva il ministro De Perlinghi. Il suo occhio di lince coglie immediatamente il valore del documento, riconosce la calligrafia dell’indirizzo, nota l’imbarazzo della persona cui era indirizzata e ne capisce il suo segreto. Dopo aver trattato qualcuno dei suoi affari, sbrigativamente come suo costume,, estrae dalla tasca una lettera quasi uguale a quella incriminata, la apre e finge di leggerla mettendola proprio accanto all’altra. Si rimette a discutere per circa un quarto d’ora di affari pubblici. Tirata alla lunga la cosa, mentre si congeda prende dal tavolo la lettera che non gli appartiene. Il legittimo proprietario vede, ma naturalmente non può rischiare di attrarre l’attenzione sul fatto in presenza del terzo personaggio che gli è accanto, il ministro se ne va, lasciando sul tavolo la sua lettera senza importanza”.

“Ecco qui”, disse Dupuis rivolgendosi a Marc’Appat, “questo è esattamente quel che lei cercava per ottenere un potere perfetto; il ladro sa che il derubato sa chi è il ladro”.

“Sì”, replicò il Prefetto, “e da qualche mese a questa parte, ha usato ampiamente, a fini politici, il potere che ha così conquistato e fino a un limite molto pericoloso. La persona derubata è di giorno in giorno sempre più convinta che è necessario recuperare la lettera. Ma chiaramente questo non si può fare alla luce del sole. In breve, spinta dalla disperazione, mi ha affidato questo incarico”.

“Non si poteva, suppongo”, disse Dupuis, “desiderare o immaginare un agente più sagace”.

“Lei mi adula”, replicò il prefetto, “ma è possibile che questa fosse proprio la sua opinione”.

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