RICCARDO
CAPPATOSONI
Buongiorno.
ROBERTO
GRANZOTTO-BORDIN (si leva un po’
nervosamente)
Buongiorno,
Riccardo.
ORIETTA BERTA
CALLEGARI IN CAPPATOSONI (presso la
tavola, mostrandogli le rose)
Guarda che
belle rose mi ha portato Mr Granzotto-Bordin.
RICCARDO
Temo stiano
per sfiorire. Scusatemi un momento. (rientra
rapido nello studio. Roberto toglie una matita di tasca, scrive poche parole
sul foglietto, poi lo dà a Orietta Berta)
ROBERTO (pronto)
L’indirizzo.
ORIETTA BERTA
(prendendo il foglietto)
Non prometto
nulla.
ROBERTO
Ti aspetto. (Riccardo rientra).
ORIETTA BERTA
Vado a
mettere in acqua queste rose.
RICCARDO (dandole il cappello)
Vai pure, e
appendi per favore il mio cappello in anticamera.
ORIETTA BERTA
(prendendo il cappello)
Così vi
lascio soli a discorrere. (si guarda
attorno). V’occorre nulla? Sigarette?
RICCARDO
Grazie, ne
abbiamo.
ORIETTA BERTA
Allora vado. (esce da sinistra col cappello di Riccardo
che depone nell’atrio. Ma rientra subito, rimette il foglietto nel cassetto
della scrivania, lo rinchiude e nasconde la chiavicina. Poi prende le rose e
s’incammina verso la porta di destra. Roberto la precede e le apre il battente,
essa s’inchina ed esce).
RICCARDO (additando la sedia, vicina al tavolo di
destra)
Il posto
d’onore.
ROBERTO (sedendo)
Grazie.
(passandosi la mano sulla fronte). Che caldo fa oggi. La luce mi fa soffrire
qui agli occhi. Mi abbacina.
RICCARDO
È scuro qua
dentro con queste persiane calate. Ma se vuoi che le abbassiamo ancora?
ROBERTO (subito)
Non occorre.
So da che proviene. È il lavoro di notte.
RICCARDO (sedendo sul seggiolone)
Molto lavoro?
ROBERTO (sospira)
Eh, sì. Ogni
notte devo rivedere parte della rassegna stampa. Poi gli articoli di fondo.
Siamo in momenti difficili.
RICCARDO (dopo una breve pausa)
Hai notizie?
ROBERTO (mutando tono di voce)
Anzi ho da
parlarti seriamente. Oggi può essere per te una giornata decisiva. Ho cisto
stamani il vicecancelliere. Ti ha in gran conto. Dice che ha letto il tuo
libro. Egli ha per te una grandissima stima, assicura che tu sei l’unico uomo
adatto ad occupare quel posto. Aggiunge che se il tuo nome verrà portato
innanzi, s’adopererà per appoggiarlo in Senato. Io, poi, farò naturalmente del
mio meglio, presso la stampa e in privato. Stimo questo un dovere pubblico. La
cattedra di Letteratura Romanza ti spetta di diritto, Riccardo, e come erudito,
e come grande scrittore.
RICCARDO
E il mio
passato?
ROBERTO
Quello è già
bell’e dimenticato. Fu un atto impulsivo, ecco tutto. Tutti siamo impulsivi.
RICCARDO (lo guarda fisso)
Oh, lo reputi
un atto di leggerezza? Eppure mi dicevi allora, che io mi stavo legando una
pietra al collo.
ROBERTO
Avevo torto. (dolcemente). Tutti sanno che anni sono.
Tu sei fuggito con una ragazza, come dire? Che non era precisamente della tua
condizione. A quel tempo la cosa fece chiasso. Una scomparsa così misteriosa! E
il mio nome fu mescolato nella faccenda, come quello, lasciamelo dire, d’una
brava persona. Naturalmente si diceva che io avevo agito per un senso sbagliato
di amicizia. Ma tutto questo è cosa nota. (con
qualche esitazione). Quello che non è noto, è quel che accadde dopo. Ma
questo è affar tuo. Tu non sei più giovane come allora.
RICCARDO
La tua
intenzione è, o non è, che io dia una smentita al mio passato?
ROBERTO
Ora io penso
al tuo avvenire, al tuo avvenire qui. Comprendo il tuo orgoglio, il tuo grande
amore di libertà. Ma un modo di risolvere la cosa c’è, ed è questo: evitare di
contrastare tutte le voci che vanno attorno su ciò che è accaduto (o non
accaduto) dopo la tua partenza di qui… Ti dirò la verità intera.
RICCARDO (sorride e s’inchina)
Sentiamola.
ROBERTO
E non
soltanto pel bene tuo, ma per il bene di colei che t’è compagna nella vita.
RICCARDO
Ah! (schiaccia la sigaretta nel portacenere, poi
si piega in avanti strofinando lentamente le mani). Perché, anche pel suo
bene?
ROBERTO (si piega egli pure in avanti quietamente)
Riccardo, sei
sempre stato giusto con lei? Dirai che fu libera nella scelta? Ma era una
ingenua ragazza. Accettò quello che tu le proponesti, venne via con te. Ma era
veramente libera? Rispondimi con tutta franchezza.
RICCARDO (si volge a lui, calmo)
Io la gicai
come una posta; la giocai contro tutto ciò che tu dici o che puoi dire, e la
vinsi.
ROBERTO (assentendo ancora)
Sì, vincesti.
RICCARDO (si leva)
Scusa,
dimenticavo. Vuoi del whisky?
ROBERTO
Grazie.
RICCARDO (va verso la dispensa, poi torna alla tavola
con un vassoio, caraffa e bicchieri che depone, siede ancora sul seggiolone
distendendovisi)
Prego,
sèrviti.
ROBERTO (si serve)
E tu? Sempre
incorruttibile? Quando penso alle nostre nottate selvagge di tanti anni fa,
alle grandi chiacchierate che si facevano, e i progetti, le gozzoviglie…
RICCARDO
Già nella
nostra casa di laggiù.
ROBERTO
È mia, sai,
adesso? L’ho sempre tenuta, quantunque ci vada di rado. Se vuoi venirci qualche
notte… Rinnoveremo gli antichi tempi. Ricordi? Ciascuno di noi aveva la sua
chiave. (maliziosamente). L’hai
ancora? (beve). Salute!
RICCARDO
È tutto
questo che volevi dirmi?
ROBERTO (subito)
C’è
dell’altro. Il vicecancelliere ti fa a mezzo mio un invito a pranzo per
stasera. Pranzo naturalmente privatissimo. Ha bisogno di vederti.
RICCARDO
L’ora?
ROBERTO
Le otto. Ma
ti lascia libero d’andarci anche più tardi, se vuoi. Io sento che questa sera
rappresenterà per te, il momento decisivo della tua esistenza. Così potrai
continuare a rimanertene qui a lavorare e pensare, ad essere amato ed onorato
in mezzo alla nostra gente. Vuoi darmi uno di quei lunghi sigari? (Riccardo sceglie un virginia da una scatola
sulla tavola, poi clielo spunta e glielo dà. Roberto, accendendo). Questo
sigaro mi europeizza. Se l’Irlanda vuol diventare una nuova Irlanda, deve prima
europeizzarsi. E tu sei qui per questo. Verrà il giorno in cui avremo da
scegliere tra l’Inghilterra e l’Europa. Io, già, discendo da oscuri stranieri:
ed è per questo che prediligo starmene qui. Potrò dire una sciocchezza, ma in
quale altro luogo in tutta Dublino posso trovare un buon sigaraccio, come
questo, o una tazza di buon caffè nero? L’uomo che beve caffè, sarà il
conquistatore d’Irlanda. Ed ora, voglio prendermi una buona sorsata di quel tuo
whisky per mostrarti che i miei sentimenti non sono poi tanto pervertiti.
RICCARDO (addita)
Prendi pure.
ROBERTO (versa)
Grazie. (beve, poi continua nello stesso tono).
E tu te ne stai lì in panciolle, su codesto seggiolone; la voce del tuo
bambino, Orietta Berta… Mi permetti di chiamarla così? Come vecchio amico ne ho
il diritto.
RICCARDO
E perché no?
ROBERTO (con
animazione)
Tu possiedi
quell’indignazione furente che lacerò il cuore di Swift. Tu ci piovi, Riccardo,
da un mondo superiore, e ti senti il cuore tumultuante di sdegno ogni volta che
ti vedi attorno la vita così vile, così ignobile. Mentre io, posso dirtelo?
RICCARDO
Di’ pure.
ROBERTO (malizioso)
Io invece,
vengo da un terreno basso e triste, e mi meraviglio, vedi, quando vedo che il
popolo possiede ancora qualche virtù di redenzione.
RICCARDO (appoggia i gomiti sopra la tavola)
E tu mi sei
amico!
ROBERTO (gravemente)
Ho combattuto
per te, e ti ho difeso mentre eri assente. Mi sono adoperato per farti
ritornare, per ottenerti una carica qui, fra noi. E combatterò ancora per te,
perché ho fede in te. La fede di un discepolo nel suo maestro. Dammi un cerino.
RICCARDO (accendendo e dandogli un cerino)
C’è una fede
ancora più strana della fede del discepolo nel suo maestro.
ROBERTO
Ed è?
RICCARDO
La fede del
maestro nel discepolo che lo tradisce.
ROBERTO
Davvero che
il Partito, Riccardo, perde in te un grande teologo. Tu vedi così addentro alla
vita! (si alza e tocca il braccio di
Riccardo). Stai allegro. La vita non lo merita.
RICCARDO (senza levarsi)
Te ne vai?
ROBERTO
Sì. (si volge poi con tono amichevole).
Allora siamo intesi? Ci ritroviamo stasera dal vicecancelliere. Io ci capiterò
verso le dieci, così avrete una buona ora da discorrervela tra di voi. Mi
aspetti?
RICCARDO
Sta bene. (accende un altro cerino poi si leva.
Arcicrocicchio entra dalla porta di sinistra seguito da Beatrita)
ROBERTO
Congratulatevi
con me, Beatrita. Ho battuto Riccardo.
ARCICROCICCHIO
CAPPATOSONI (va alla porta di destra e
chiama)
Mamma. Miss
Bernardini se ne va.
BEATRITA
BERNARDINI
Per che cosa
mi devo congratulare?
ROBERTO
Per la
vittoria, naturalmente. (ponendo una mano
sulla spalla di Riccardo). Il discendente di Archibald Hamilton Cappatosoni
è tornato a casa.
RICCARDO
Io non sono
il discendente di Hamilton Cappatosoni.
ROBERTO
Non importa. (con la coppa delle rose entra da destra
Orietta Berta, alla quale si ricolge). Riccardo stasera va a pranzo dal
vicecancelliere. Il vitello grasso sarà portato in tavola: arrosto, spero. E
alla prossima sessione vedremo il discendente dell’omonimo eccetera, seduto su
una cattedra di questa università.
(stende la mano). Addio, Riccardo. Ci rivediamo.
RICCARDO (gli stringe la mano)
A Filippi.
BEATRITA
I miei complimenti,
Mr Cappatosoni.
RICCARDO
Grazie, ma
non credeteci.
ROBERTO (vivamente)
Credetemi,
credetemi. (a Orietta Berta).
Arrivederci, Mrs Cappatosoni.
ORIETTA BERTA
(stringendogli la mano candidamente)
Vi rigrazio
io pure. (a Beatrita). Non vi fermate
per il tè, Miss Bernardini?
BEATRITA
No, grazie. (si congeda). Debbo andarmene.
Buongiorno. Addio, Arcicrocicchio.
ROBERTO
Addio,
Arcicrocicchio.
ARCICROCICCHIO
Addio.
ROBERTO
Aspettate,
Beatrita, che v’accompagno.
BEATRITA (uscendo da destra con Orietta Berta)
Oh, non
v’incomodate.
ROBERTO (seguendola)
Come cugino,
permettete che insista.
(Orietta Berta, Beatrita e Roberto
escono dalla porta di sinistra. Riccardo si ferma irresoluto presso la tavola.
Arcicrocicchio va presso la porta che conduce nell’atrio. Poi ritornando verso
il padre lo tira per una manica).
ARCICROCICCHIO
Ohè, papà.
RICCARDO
Che c’è?
ARCICROCICCHIO
Debbo dirti
una cosa.
RICCARDO (sedendo su un braccio del seggiolone, lo
guarda)
Be’, che hai
da dirmi?
ARCICROCICCHIO
Potresti farmi
il favore di domandare alla mamma se mi lascia uscire domattina col lattaio?
RICCARDO
Col lattaio?
ARCICROCICCHIO
Sì, col
barroccio del lattaio. M’ha detto che quando saremo fuori, sulle strade dove
non c’è gente mi lascerà guidare un poco. Il cavallo del lattaio è un’ottima
bestia. Mi lasci andare?
RICCARDO
Sì, vai.
ARCICROCICCHIO
Allora
chiedilo anche alla mamma, vuoi?
RICCARDO (dà un’occhiata alla porta)
Sì, glielo
chiederò.
ARCICROCICCHIO
Il lattaio
dice che mi mostrerà le mucche che ha nel suo campo.
RICCARDO
Quante?
ARCICROCICCHIO
Undici. Otto
rosse e tre bianche. Ma una è ammalata adesso. No, non è ammalata. È caduta.
RICCARDO
Mucche?
ARCICROCICCHIO
(con un gesto)
Eh, non tori.
Perché i tori non danno latte. Undici mucche che danno una quantità di latte.
Come fa la mucca a dare il latte? Lo sai?
RICCARDO (prende le sue mani)
Eh, chi sa.
Sai tu, Arcicrocicchio, che significa dare una cosa?
ARCICROCICCHIO
Dare una
cosa? Sì.
RICCARDO
Tu hai una
cosa e qualcuno te la prende.
ARCICROCICCHIO
I ladri?
RICCARDO
Ma quando
questa cosa tu la dai, ecco, tu l’hai data. E i ladri non la possono rubare. (abbassa il capo e preme la mano del
figliolo sulla gota). E la cosa è tua, allora, per sempre. Anche se tu
l’hai data. E srà tua in eterno. Ecco, che significa dare.
ARCICROCICCHIO
Papà?
RICCARDO
Eh?
ARCICROCICCHIO
Come può un
ladro rubare una mucca. Lo vedrebbero. Di notte, forse?
RICCARDO
Sì, di notte.
ARCICROCICCHIO
E dimmi, ci
sono ladri anche a Roma?
RICCARDO
Povera gente
ce n’è dappertutto.
ARCICROCICCHIO
E hanno
revolver?
RICCARDO
No.
ARCICROCICCHIO
Coltelli?
Hanno coltelli?
RICCARDO
Sì, sì.
Coltelli e revolver.
ARCICROCICCHIO
(togliendosi da lui)
Be’. Domanda
alla mamma quello che t’ho detto. Guarda, viene.
RICCARDO (fa per levarsi)
Glielo
chiederò.
ARCICROCICCHIO
No, aspetta
che venga da te, e glielo chiedi. Io non voglio trovarmi qui; andrò in
giardino.
RICCARDO (rimettendosi a sedere)
Bene, vai.
ARCICROCICCHIO
(lo bacia rapidamente)
Grazie. (fugge via dalla porta del giardino).
4 di 12. continua
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