1
– Porta a porta
No,
basta! Mi ero rotto le balle di mescolare gomma, un mestiere sporco e
faticoso, roba da bestie! Fu così che decisi di intraprendere la mia
tanto sognata carriera di venditore, nella fattispecie di venditore
porta a porta. Sono sempre stato affascinato da quel mestiere, mi
entusiasmava l’idea di esercitare una forma di controllo sulle
persone, di influenzare in qualche modo le loro scelte, quantomeno
per ciò che riguardava i loro consumi. Intanto però dovetti
vivacchiare per qualche tempo con i soldini della liquidazione e
guardarmi un po’ in giro. Insomma, un periodo sabbatico, come
direbbero i fighetti del giorno d’oggi.
Io
invece il fighetto non mi sono mai potuto permettere di farlo,
nemmeno il paninaro in quei reaganiani anni ’80 di riflusso, pur
provenendo da una famiglia relativamente benestante. Ex benestante. I
miei antenati erano nobili che generazione dopo generazione caddero
in disgrazia lasciandomi in eredità solo un appartamentino in quello
che fu il loro settecentesco palazzotto nella Bergamo alta, i loro
debiti e un nome ridicolo – Luca Giovanni Battista Fabio Maria
Cappatelli de Capponis -, che anche per sfuggire ai creditori sono
riuscito a cambiare in Giovanni Patelli, John per gli amici.
Sono
cresciuto come tanti miei coetanei della piccola borghesia e dopo il
diploma di maturità avrei voluto iscrivermi alla facoltà di
agraria, ma frequentai solo una lezione sull’inseminazione
artificiale delle vacche e non andai oltre perché non potevo
permettermi le tasse universitarie coi lavoretti che trovavo su
Secondamano,
tipo masturbarmi alla banca del seme o lavare i morti… Eros e
thanatos… Per necessità dovetti pertanto accettare un lavoro
fisso in una fabbrichetta, ma ora no, basta!, mi ero rotto le balle
di mescolare gomma, un mestiere sporco e faticoso, roba da bestie.
E
con questo mi sono un pochino presentato. All’epoca, se
un esperto agente di qualche polizia segreta avesse dovuto fare
rapporto a un suo superiore sul mio appartamentino, non si sarebbe
trovato spiazzato come un qualunque piazzista. Anche se il caos
imperante tendeva a nascondere i dettagli, con un rapido colpo
d'occhio avrebbe certamente memorizzato la scena soffermandosi
sull'essenziale. L'ipotetico agente in questione avrebbe scritto di
un bilocale di circa settanta metri quadrati con un salottino arioso
e illuminato in cui spiccava un grande divano rosso porpora. La spia
avrebbe fotografato mentalmente altri dettagli come i mobili di
legno grezzo, il piccolo angolo cucina con la lavatrice salvaspazio,
ma nel bagno una grossa vasca con l'idromassaggio, niente televisore
ma un sacco di libri, più uno dei primissimi personal computer.
Poi
senza ulteriori indugi si sarebbe dedicato alla camera da letto,
separata dal resto solo da una tenda, dove regnava un disordine di
sottofondo che restava impigliato nell'atmosfera dell'appartamento
anche dopo le grandi pulizie che, lo si capiva abbastanza
chiaramente, effettuavo con una certa serietà quasi una volta
all'anno. Il nostro esperto osservatore avrebbe cominciato a capire
che c'era qualcosa che non andava, che la mia personalità sfuggiva
ai normali profili criminologi, e ne avrebbe trovato conferma
nell’embrione di manoscritto sul comodino di legno di fianco al
letto. Era lì in bella mostra, ma abilmente confuso nel disordine,
quello che dopo un quarto di secolo avrebbe preso forma in questo
libro.
Mi
offrirono un lavoro part time come friggitore di patatine da Burghy,
che nei primi anni ’80 a Bergamo anticipò di qualche tempo il più
famoso McDonald's, che quattro anni dopo l’avrebbe assorbito. Capii
in quel momento, davanti allo specchio di casa, in salopette rossa,
camicia gialla a righe bianche e cappellino in tinta, di non essere
un uomo-azienda. Avrei dovuto cominciare l’indomani e infatti mi
presentai rassegnando le dimissioni. Ancora oggi sul mio libretto di
lavoro brillano i timbri: assunto e licenziato lo stesso giorno. Il
direttore un po’ seccato mi chiese pure di firmare una
dichiarazione dove mi impegnavo a rinunciare alla liquidazione.
Divertente, non avevo nemmeno cominciato e stavo già firmando una
rinuncia alla liquidazione. Cinque minuti dopo, nel fare manovra,
andavo a sbattere contro un paracarro, distratto dal meraviglioso
fondoschiena di una giovane passante. Ecco, mi mancava solo di
sfasciare la macchina!
Ma
come sempre la vita è più fantasiosa delle favole. Poco dopo essere
arrivato a casa mi suona al citofono un certo signor Vanilla, uno
spilungone impomatato di gel, incaricato di una molto nota ditta
produttrice di aspirapolvere venduti porta a porta. Pare che
qualcuno, non ho mai scoperto chi, mi avesse segnalato come
disoccupato. Mai che la gente si faccia i cavoli suoi, ma quella
volta mi fece piacere. Il tipo mi raccontò tutto il suo pistolotto
sull’azienda multinazionale, di come fosse leader nel suo settore e
di come, grazie al buon nome e all’intensa pubblicità, gli
apparecchi si vendessero come il pane. Infine mi propose qualche
giornata dimostrativa per prendere visione del genere di lavoro.
Simulai scetticismo, ma in realtà non fu difficile convincermi: in
cuor mio era proprio quello che aspettavo da tempo.
1 commento:
Bellissimo. Rende perfettamente l'idea della bergamaschita'
Posta un commento