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- Il Pollaio
Lo
chiamano il Pollaio. Era ed è ancora una costruzione immobiliare
immensa nella periferia di Bergamo, sempre che si possa definire
periferia, Bergamo essendo una cittadina relativamente piccola. Che
il Pollaio sia poco apprezzato lo si evince dal nome: massima
rappresentazione di quei mega-casermoni, un uno dei quali vi avevo
già presentato gli sposini, i suoi innumerevoli appartamentini
ospita inquilini come gallinacei in batteria. La comodità di queste
strutture è che puoi suonare parecchi campanelli e contattare
altrettante persone, senza fare troppa strada e stando al coperto,
che in inverno non è un dettaglio da poco, poiché il venditore
porta a porta è sempre esposto a tutte le interperie.
Un giorno suono a uno dei tanti campanelli, tutti uguali, stesso campanello, stessa porta per decine e decine di volte. L’unica possibilità di distinzione in quei posti è lo zerbino, qualche “Welcome”, qualche “Home sweet home” e niente più. A un certo punto finalmente mi apre un giovane, poco più di un ragazzo, infilato nell’uniforme del già conosciuto Burghy, la prima catena fast food che apri a Bergamo quando ancora McDonald’s non era sbarcato per acquistarlo in blocco. Fatto sta che tra le prime chiacchiere sulla porta gli raccontai della brevissima avventura che ebbi nella stessa posizione di lavoro, lui mi fece entrare e notai quasi subito da quel appartamento ben curato ed anche un po’ lezioso, che… che insomma si vedeva anche dal suo atteggiamento che il ragazzo era gay.
Un giorno suono a uno dei tanti campanelli, tutti uguali, stesso campanello, stessa porta per decine e decine di volte. L’unica possibilità di distinzione in quei posti è lo zerbino, qualche “Welcome”, qualche “Home sweet home” e niente più. A un certo punto finalmente mi apre un giovane, poco più di un ragazzo, infilato nell’uniforme del già conosciuto Burghy, la prima catena fast food che apri a Bergamo quando ancora McDonald’s non era sbarcato per acquistarlo in blocco. Fatto sta che tra le prime chiacchiere sulla porta gli raccontai della brevissima avventura che ebbi nella stessa posizione di lavoro, lui mi fece entrare e notai quasi subito da quel appartamento ben curato ed anche un po’ lezioso, che… che insomma si vedeva anche dal suo atteggiamento che il ragazzo era gay.
L’appartamento
gay si distingue molto dall’appartamento femminile. Mi è difficile
spiegare il meccanismo per cui questo avviene, ma è decisamente
molto diverso, per me molto più curato. A mio avviso l’appartamento
gay è la femminilizzazione di un appartamento da uomo, parte proprio
da un’altra struttura, molto più ingegnoso e particolare, si vede
dalla cura dei dettagli. Ci sedemmo sul divano e chiacchierammo un
po’ di come si fanno le pulizie, fino a scoprire che conviveva con
un altro ragazzo. Di conseguenza, come la regola impone, presi
appuntamento per una dimostrazione quando fossero presenti
entrambi.
Non sono mai stato omofobo, non mi hanno mai spaventato i gay. Anzi, pur avendo gusti eterosessuali, ci sono sempre andato molto d’accordo e vi conto numerosi conoscenti e amici. Del resto rispetto a tanti altri noi maschietti di una generazione la cui pubertà era finita con gli anni ’70 e l’adolescenza iniziata negli ’80, la cui sessualità era sbocciata con i giornaletti porno e le pippe in compagnia, mi hanno sempre fatto ridere i coetanei che dicevano sdegnati: “Oh, se ci prova a mettermi le mani addosso gli spacco la faccia!” Ci sono maschi convinti che i gay siano alla spasmodica ricerca di sodomizzare qualcuno a tutti i costi e non li sfiora neppure da lontano i gay abbiano lo stesso gusto delle donne e preferiscano gli uomini di aspetto gradevole. Macché, anche i cessi cicciotelli e brufolosi si considerano potenziali vittime di molestie omosessuali, e invece di sentirsi un po’ sollevati dal fatto che almeno qualche essere umano più gentile li degni di attenzione, se ne dispiacciono pure. Ma non starò qui ora a fare filosofia sul mondo gay e come ci si rapporta, credo che se ne sia già scritto in modo molto più approfondito altrove.
Però voglio sfatare il luogo comune che vedrebbe i gay come persone più sensibili: a mio avviso non è l’omosessualità in se che rende ipersensibili, ma la sofferenza che queste persone hanno dovuto attraversare. Anni di adolescenza chiusi nelle loro camerette, a chiedersi come mai sia toccata a loro questa che la cultura dominante li porta a considerare come una sfortuna, anni di discriminazioni e di emarginazione. A mio avviso la dimostrazione di questo sta proprio nel fatto che le ragazze risultano risultano meno costrette tanto a celare quanto ad esternare la loro omosessualità: si sa, giudicare una bambina “un maschiaccio” è quasi un complimento, insomma non sono poi così sensibili!
Non sono mai stato omofobo, non mi hanno mai spaventato i gay. Anzi, pur avendo gusti eterosessuali, ci sono sempre andato molto d’accordo e vi conto numerosi conoscenti e amici. Del resto rispetto a tanti altri noi maschietti di una generazione la cui pubertà era finita con gli anni ’70 e l’adolescenza iniziata negli ’80, la cui sessualità era sbocciata con i giornaletti porno e le pippe in compagnia, mi hanno sempre fatto ridere i coetanei che dicevano sdegnati: “Oh, se ci prova a mettermi le mani addosso gli spacco la faccia!” Ci sono maschi convinti che i gay siano alla spasmodica ricerca di sodomizzare qualcuno a tutti i costi e non li sfiora neppure da lontano i gay abbiano lo stesso gusto delle donne e preferiscano gli uomini di aspetto gradevole. Macché, anche i cessi cicciotelli e brufolosi si considerano potenziali vittime di molestie omosessuali, e invece di sentirsi un po’ sollevati dal fatto che almeno qualche essere umano più gentile li degni di attenzione, se ne dispiacciono pure. Ma non starò qui ora a fare filosofia sul mondo gay e come ci si rapporta, credo che se ne sia già scritto in modo molto più approfondito altrove.
Però voglio sfatare il luogo comune che vedrebbe i gay come persone più sensibili: a mio avviso non è l’omosessualità in se che rende ipersensibili, ma la sofferenza che queste persone hanno dovuto attraversare. Anni di adolescenza chiusi nelle loro camerette, a chiedersi come mai sia toccata a loro questa che la cultura dominante li porta a considerare come una sfortuna, anni di discriminazioni e di emarginazione. A mio avviso la dimostrazione di questo sta proprio nel fatto che le ragazze risultano risultano meno costrette tanto a celare quanto ad esternare la loro omosessualità: si sa, giudicare una bambina “un maschiaccio” è quasi un complimento, insomma non sono poi così sensibili!
Prendiamo
per esempio la mia amica e co-autrice lesbica Virginia, bisessuale o
“pansessuale” come ama precisare. Ciò che mi è sempre piaciuto
di lei è la mancanza di ostentazione della propria diversità,
mentre l’unica cosa che invece mi irrita di molti gay è la pretesa
un po’ assurda, o quanto meno contraddittoria e stiracchiata, di
voler essere considerati “normali” (come è giusto che sia sul
piano dei diritti civili) e al tempo stesso portatori di una
diversità che li renderebbe “speciali”, e quindi, a rigor di
logica, non più “normali”!
Comunque, per tornare a noi, più tardi nel pomeriggio svolsi feci la mia dimostrazione ad entrambi, pur sapendo già tutti che la loro condizione economica non avrebbe permesso loro l’acquisto dell’apparecchio, me la fecero fare per gentilezza e io per gentilezza contraccambiai. Mi offrirono il tè con i biscotti, cosa che non succedeva spesso. Dopo tante porte in faccia, scortesie e quant’altro, anche all’agente folletto piace sostare per una pausa improduttiva ma perlomeno in un ambiente rilassato, un terreno amichevole. Poi uscendo dall’appartamento, la solita deprimente sensazione di rientrare nella ordinaria routine in un ordinario pollaio!
Comunque, per tornare a noi, più tardi nel pomeriggio svolsi feci la mia dimostrazione ad entrambi, pur sapendo già tutti che la loro condizione economica non avrebbe permesso loro l’acquisto dell’apparecchio, me la fecero fare per gentilezza e io per gentilezza contraccambiai. Mi offrirono il tè con i biscotti, cosa che non succedeva spesso. Dopo tante porte in faccia, scortesie e quant’altro, anche all’agente folletto piace sostare per una pausa improduttiva ma perlomeno in un ambiente rilassato, un terreno amichevole. Poi uscendo dall’appartamento, la solita deprimente sensazione di rientrare nella ordinaria routine in un ordinario pollaio!
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