13 – Il vagabondaggio

Carissimo John, […], “Sei un’alcolista ciclotimica tendente al bipolare, e inoltre ti lavi poco. Sei perfetta per questo servizio, finirai in copertina”. Con queste parole di conforto un affermato giornalista di un noto periodico milanese, impietosito dalle mie difficoltà economiche, mi ha inviato un computer portatile, un sacco a pelo e una banconota da 50 sterline, con l’incarico di sopravvivere l’inverno come una barbona per scrivere un reportage sulla vita di strada dei senzatetto britannici, per confrontarne la situazione con quelli italiani in un servizio per il suo settimanale.

Sapevo già come dormire al caldo: presso lo shelter (rifugio) “Open Door” di St. Albans, poche miglia a nord di Londra, dove gli homeless possono pernottare fino a un massimo di 28 giorni e poi non ci possono tornare per altre quattro settimane. L’altra regola fondamentale, come in analoghe strutture italiane, è che si deve uscire prima delle 7-8 del mattino e rientrare (vagamente sobri) verso le 19-20, per cui i vagabondi britannici hanno in comune coi nostri (e suppongo quelli nel resto del mondo), di essere i primissimi clienti all’apertura dei supermercati, naturalmente per rifornirsi di alcol (da queste parti lattine di pessimo sidro gasato, più economico della birra), tranne la mia amica Yildiz, turca analcolica che ritenendosi una grande esperta di calcio spende tutto il suo dole al calduccio della sala scommesse.

Il dole è il sussidio di disoccupazione, all’incirca una decina di sterline al giorno pagate ogni due settimane, del quale vivono anche le quattro flatulente indigene che condividono la stanza con me e Yildiz, ma a differenza di noi trascorrono la giornata al Black Lion Inn, uno dei 53 pub della cittadina mercantile, in compagnia dell’anatra Crispy che non molla mai il suo sgabello preferito. Io invece, senza dole, passo il tempo in biblioteca, dove posso scrivere l’articolo sui barboni collegandomi gratis al web e copiando quasi tutto dai blog a loro dedicati dai caritatevoli volontari.

Qui a St. Albans i giorni passano veloci, tranne le domeniche pomeriggio quando la biblioteca è chiusa e per stare al caldo mi chiudo in un cubicolo dei gabinetti pubblici dei quali ho disattivato il sensore antifumo con la complicità dell’addetto alle pulizie polacco, che mi ha preso in simpatia perché crede che in quanto italiana sia automaticamente cattolica. Se è una bella giornata, nell’antica Verolanum (era in Albione una delle tre maggiori città dell’impero romano) faccio da guida turistica ai colleghi vagabondi londinesi che nel fine settimana vengono qui in campagna per sfuggire ai ritmi frenetici della city, e passeggiando nel grande parco corteggio Rebecca, una bella ragazza dell’Africa orientale, vittima di violenze domestiche che non aveva dove andare e i servizi sociali hanno temporaneamente parcheggiato al rifugio.

Vorrei restarle vicino ma i miei 28 giorni sono scaduti e mi arrabatto nell’antistante parcheggio multipiano del municipio, nel sacco a pelo e la borsa del computer come cuscino antifurto del computer stesso. Vengo diffidato dagli impiegati comunali una prima notte, cacciato una seconda volta e alla terza, dopo una settimana, scatta l’arresto, con mio sollievo nel poter trascorrere almeno una notte in una confortevole cella della stazione di polizia. Il bravo avvocato d’ufficio O’Mahoney è un irlandese che mi ha preso in simpatia perché anche lui crede che in quanto italiana sia automaticamente cattolica, e nel processo per direttissima convince il giudice a risparmiarmi la multa di 80 sterline purché mantenga la promessa di togliermi dai piedi. Non è propriamente un foglio di via, ma mi hanno schedata e non voglio irritarli.

Per 150 sterline vendo il computer a Rebecca e gli altri ragazzi cui ho insegnato a usarlo in biblioteca. Per risparmiare lascio il paese in pullman e una ragazza tedesca studentessa a Oxford mi si addormenta sulla spalla. A Lilla il pullman si rompe e lei mi offre un bacio e una canna di ottimo hashish afgano, del quale mi vende un’oncia prima di proseguire in treno per Colonia. Con un altro pullman arrivo a Parigi dove vago nella notte di una città notoriamente molto più gelida di Londra, finché una musica ad alto volume mi porta ad imbucarmi in una festa privata per mangiare e bere a sbafo, ma mi scoprono e me ne devo andare, con nascosto in tasca un panino.

Donne moi la rosette!” mi intima un giovane minaccioso ed evidentemente affamato. Rimango allibito: sono stato rapinato per la strada di una salsiccia lionese. Parigi mi fa veramente schifo, non ho nessuna intenzione di indagare sulla vita dei locali clochard e con l’ultimo denaro rimasto prendo il treno per Milano, sul quale passano gli sbirri coi cani antidroga, che mi ignorano. Terribile sospetto e veloce controllo: la romantica studentessa di Oxford mi ha appioppato un’oncia di pongo. Arrivo in centrale stremata e depressa, ma non posso presentarmi in redazione dopo solo poco più di un mese, e mi rifugio a casa di Sarah per riprendermi dall’avventura e ricominciare a cercare lavoro in madrepatria, del che ti scriverò nella prossima puntata.



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