15 – Ritorno in Italia

Carissimo John, […] riassumendo in poche righe i miei otto anni lavorativi in Gran Bretagna:

1. I manager esigono la massima efficienza, ma rispettano il lavoratore.
2. Sul luogo di lavoro la scrivania è ampia, i cessi puliti e la mensa decente.
3. Il compenso, anche se minimo, consente di sopravvivere autonomamente.
4. Il pagamento del salario è puntualissimo senza mai un giorno di ritardo.

Ovvero, l’esatto contrario di quanto avviene nei call centre italiani. il mio primo tentativo in Italia ebbe del grottesco. Mi trovavo in Sicilia, tra le palme e i pini marittimi in una piccola località sulla costa tirrenica lungo la ferrovia, dove avevo accompagnato in un lavoro occasionale come interprete un piccolo imprenditore veneto che parlava solo veneto. Svolto il mio compito di agevolare la comunicazione in italiano tra lui e il suo potenziale socio siculo, mi congedai prendendo i 40 euro di anticipo sul totale di 110 della mia prestazione, i restanti 70 sperabilmente, forse, eventualmente saldabili dopo 400 giorni, come usano fare i dinamici imprenditori del nord-est. Così squattrinata, rubai un motorino, un vecchio Piaggio Bravo lasciato incustodito e perciò probabilmente appartenente a qualche adolescente mini-delinquente mafiosamente supponente che nessunamente avrebbemente posatamente rubarglielomente, ed esauriti i francesismi mi diressi verso il capoluogo, abbandonando il motoveicolo in un fossato periferico per disperdere le tracce evitando vendicatorie amputazioni.

Andavo a Palermo perché sul volo di andata avevo letto su Ulisse, l’in-flight magazine dell’Alitalia, che lì era situato il call centre per le prenotazioni della compagnia di bandiera, sull’aereo della quale già sognavo una vita al sapore di frutti di mare e femmine focose, una vita che mi tolgliesse dalle ossa l’umidità britannica. Mi presento alla responsabile e nel fare il colloquio come lei desidera in inglese, anche se lo parla da cani, la tipa mi spiega che occorrono 15 giorni per imparare il software gestionale, che questi 15 giorni non sono pagati e che comunque lo stipendio è di 500 euro al mese. A parte il fatto che sono diplomata in informatica e non ho mai impiegato più di due giorni per imparare a usare un software, dovrei trasferirmi a Palermo per meno di un milione di lire al mese?!? Questo non gliel’ho detto, non le ho neanche risposto, ma già che ero lì ho prenotato il volo di ritorno per Milano.

Quivi giunta trovo lavoro in un call centre che promuove le linee fisse di una nota compagnia telefonica, una di quelle che ti rompe le palle tutti i giorni nei momenti meno opportuni. Per 150 operatori appiccicati come galline in batteria su “scrivanie” larghe mezzo metro c’è un solo gabinetto, ma il padrone viaggia in Porsche Carrera targata Principato di Monaco. In seguito fui contattato dal Tribunale del lavoro di Milano e dalla Guardia di finanza di Terni (dove avevano sede legale) per testimoniare rispettivamente sulle condizioni di lavoro e sul fallimento un po’ troppo sospetto della società.

Peccato perché furono mesi in cui godetti della mia amata città natale da una stanza decorosa che dava su Campo dei fiori (pochi lo sanno ma esiste anche a Milano), dove trovavo ottimo hashish. E peccato anche perché mi ero innamorata di una compagna di partito (di origini palermitane!), con la quale trascorrevo le notti al parco fumando canne e parlando di politica. Ma spendendo 400 euro di affitto sui 700 che guadagnavo non potevo resistere a lungo e, col capo cosparso di cenere, alla tenera età di quarant’anni suonati dovetti tornare ad appoggiarmi presso i miei genitori.

La prima esperienza di lavoro, se così si può definire, che ebbi a Conegliano (provincia di Treviso) fu in un call centre dove non c’erano neanche i computer: usavano direttamente l’elenco del telefono per tentare di vendere un famigerato aspirapolvere (tranquillo, non della tua marca) che eliminerebbe i batteri dai materassi. Assunta in nero come tutti gli altri, dopo pochi giorni tutti gli operatori vengono evacuati in fretta e furia. Incendio? Terremoto? No: Guardia di finanza avvistata in avvicinamento. Inutile dire che non mi sono più ripresentata e anche la loro ditta è nel frattempo misteriosamente scomparsa.

Col secondo lavoro a Conegliano sono più fortunata. Un’azienda abbastanza seria di franchising nel settore termoidraulico vuole impiantare un proprio call centre per intortare nuovi affiliati. Oltre a un fisso ridicolo di 590 euro prendo provvigioni dignitose e ci sono mesi in cui guadagno benino, tanto da potermi nuovamente rendere indipendente dai miei genitori e installarmi in un appartamentino tutto mio. La fregatura in questo caso è che si lavora da casa collegandosi in accesso remoto al loro server, e dovendo fare circa duemila chiamate al mese, molte delle quali su cellulari, mi arrivano bollette telefoniche mostruose. Tuttavia ce la feci a tirare avanti per oltre due anni, finché l’azienda rinunciò al progetto di un proprio staff di telemarketing per affidarsi a svariati call centre esterni in giro per l’Italia, valutando che avrebbe ottenuto risultati migliori mettendoli in competizione tra loro. Di come si lavora in questi call centre ti scriverò ancora la prossima volta.



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