6 – Gli sposini

La tipica casa degli sposini di provincia solitamente consiste in un appartamento in una palazzina costruita da una cooperativa edilizia, finita in tutto, tranne che per le opere di urbanizzazione. Si sa che le municipalità chiedono degli oneri esosi, ma per i lavori poi se la prendono con calma, quindi la strada per raggiungerli spesso è ancora in terra battuta, a volte piena di buche e di conseguenti pozzanghere. Gli atri e i pianerottoli completamente spogli e rimbombanti del nulla, nei casi più felici ci puoi trovare un Benjamin o un lauro che sta perdendo le foglie e un foglio in bacheca con i turni delle pulizie scale. Gli appartamenti sono tutti uguali, perché uscire dai capitolati è quasi sempre un taglieggiamento. Le finiture sono solitamente economiche e l’isolamento acustico è penoso. Copiosi sono i racconti di cosa sentano reciprocamente i condomini: mi è capitato di parlare in casa di una persona, una volta poi suonato alla vicina, questa mi risponde di aver già sentito tutto quanto, quindi tante grazie e arrivederci!

Entrare in casa dei giovani sposi o conviventi non è difficile: sovente si sono indebitati fino al collo per rendere piacevole il loro nido, di conseguenza non disdegnano nel farlo visitare, e poi le giovani coppie non hanno la corazza delle casalinghe di mezz’età abituate a combattere tutti i giorni con venditori di ogni specie. L’arredo è ovviamente nuovo e luccicante e qui aprirei una parentesi sui mobili laccati lucido: a prima vista danno un’immagine brillante dell’oggetto, ma poco dopo ti sorge un desiderio interno di spegnerli, sono assolutamente respingenti. In alcune case, tra ceramica del bagno, mobili laccati, cristalli vari e magari granito lucido come pavimento, viene voglia di mettersi gli occhiali da sole.

Ad ogni modo complimentarsi dell’abitazione è la prima cosa che deve fare un venditore appena entra in casa, i complimenti piacciono a tutti in generale, ma quelli sulla casa vanno sempre a segno. Io facevo di più, non solo mi complimentavo e mi fingevo sbalordito da tanta meraviglia e incredulo del fatto che il risultato fosse esclusivamente opera del loro buongusto, ma addirittura mi inventavo che stessi sistemando casa e chiedevo notizie e riferimenti del mobiliere, segnandomi telefono e recapito, fingendomi disinteressato al fatto che fossi lì per vendere l’aspirapolvere. In fase poi di contrattazione, viene più difficile dire no ad una persona a te così congeniale, una che ti ha dimostrato grande stima, una che probabilmente comprerà il tuo stesso arredamento dal tuo stesso mobiliere, vuoi che non sappia che sistema di pulizia sia più opportuno adottare e darti spassionatamente il giusto consiglio?

Questi tipi di appartamenti comunque sono completamente asettici, non sono influenzati dal vissuto dei loro abitanti, bensì il contrario. Ragazzi che fino a ieri non si erano mai tolti le scarpe entrando in casa, ora li trovi con la ciabattona imbottita per non frisare il parquet, oppure usavano a casa loro una asciugamano in cinque, ora hanno le loro belle salviette con scritto Lui e Lei e le ripongono e ripiegano con delicatezza. Così pure con le tazze della colazione e quant’altro in casa!

Sarà un mio pregiudizio, ma ho sempre letto un filo di tristezza negli occhi di questi giovani sposi, a volte pare quasi si sentano in una prigione. Sì, certo, costosamente arredata ma pur sempre una prigione. Io quando uscivo a mi fermavo a guardare queste palazzine residenziali costruite nel nulla, in mezzo ai campi, con un po’ di malinconia me ne andavo come ci si allontana da un ospedale dopo che si è andati a far visita a qualcuno. Anche per questa ragione, all’inizio della mia carriera non riuscivo a vendere bene a queste famigliole, mi sentivo in colpa come qualche mio coetaneo che veniva spedito a vendere pentole o enciclopedie alle persone meno colte e più suggestionabili nei casermoni di Cologno monzese.

Avrei in seguito imparato a incattivirmi, o meglio estraniarmi dalla mia coscienza, seguendo gli insegnamenti del mio capo distretto, il “talebano” Frosi, ., ricordate?, Frosi invece si dimise polemicamente dall’azienda per essere stata preferita alla sua esperienza la figa di una collega nella promozione a dirigente, e amareggiato sfogò la sua frustrazione in un livido pamphlet che riapro a caso su un paragrafo:

Non importa se un prodotto fa del bene o del male, quello che conta è che venga consumato in quantità sempre più crescenti. Poiché tutto quello che fa la corporazione ha come fine ultimo la creazione del profitto, non offre ai suoi lavoratori alcuna soddisfazione personale, alcuna sensazione di contribuire qualcosa di utile alla società: vai a lavorare per una corporazione e, tramite un buon salario e vari incentivi, sei installato come un collegamento senza volto in una catena che si allunga, completando il circolo facendo di te un consumatore in più di tutta quella spazzatura. In una società dove il lavoro era diventato il metro di valutazione di ogni altro valore e l'uomo giudicato in base al suo rapporto con il lavoro, questo veniva considerato come la sua stessa essenza, l'unico modo in cui l'uomo trasforma la realtà, la possiede e la fa sua.

Penso che questo paragrafo il Frosi l’avesse preso pari pari da Jonathan Pilger. Comunque avevo appena spedito a Virginia quanto sopra che lei mi aveva già riscritto quanto sotto.



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