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– Gli sposini
La
tipica casa degli sposini di provincia solitamente consiste in un
appartamento in una palazzina costruita da una cooperativa edilizia,
finita in tutto, tranne che per le opere di urbanizzazione. Si sa che
le municipalità chiedono degli oneri esosi, ma per i lavori poi se
la prendono con calma, quindi la strada per raggiungerli spesso è
ancora in terra battuta, a volte piena di buche e di conseguenti
pozzanghere. Gli atri e i pianerottoli completamente spogli e
rimbombanti del nulla, nei casi più felici ci puoi trovare un
Benjamin o un lauro che sta perdendo le foglie e un foglio in bacheca
con i turni delle pulizie scale. Gli appartamenti sono tutti uguali,
perché uscire dai capitolati è quasi sempre un taglieggiamento. Le
finiture sono solitamente economiche e l’isolamento acustico è
penoso. Copiosi sono i racconti di cosa sentano reciprocamente i
condomini: mi è capitato di parlare in casa di una persona, una
volta poi suonato alla vicina, questa mi risponde di aver già
sentito tutto quanto, quindi tante grazie e arrivederci!
Entrare
in casa dei giovani sposi o conviventi non è difficile: sovente si
sono indebitati fino al collo per rendere piacevole il loro nido, di
conseguenza non disdegnano nel farlo visitare, e poi le giovani
coppie non hanno la corazza delle casalinghe di mezz’età abituate
a combattere tutti i giorni con venditori di ogni specie. L’arredo
è ovviamente nuovo e luccicante e qui aprirei una parentesi sui
mobili laccati lucido: a prima vista danno un’immagine brillante
dell’oggetto, ma poco dopo ti sorge un desiderio interno di
spegnerli, sono assolutamente respingenti. In alcune case, tra
ceramica del bagno, mobili laccati, cristalli vari e magari granito
lucido come pavimento, viene voglia di mettersi gli occhiali da sole.
Ad
ogni modo complimentarsi dell’abitazione è la prima cosa che deve
fare un venditore appena entra in casa, i complimenti piacciono a
tutti in generale, ma quelli sulla casa vanno sempre a segno. Io
facevo di più, non solo mi complimentavo e mi fingevo sbalordito da
tanta meraviglia e incredulo del fatto che il risultato fosse
esclusivamente opera del loro buongusto, ma addirittura mi inventavo
che stessi sistemando casa e chiedevo notizie e riferimenti del
mobiliere, segnandomi telefono e recapito, fingendomi disinteressato
al fatto che fossi lì per vendere l’aspirapolvere. In fase poi di
contrattazione, viene più difficile dire no ad una persona a te così
congeniale, una che ti ha dimostrato grande stima, una che
probabilmente comprerà il tuo stesso arredamento dal tuo stesso
mobiliere, vuoi che non sappia che sistema di pulizia sia più
opportuno adottare e darti spassionatamente il giusto consiglio?
Questi
tipi di appartamenti comunque sono completamente asettici, non sono
influenzati dal vissuto dei loro abitanti, bensì il contrario.
Ragazzi che fino a ieri non si erano mai tolti le scarpe entrando in
casa, ora li trovi con la ciabattona imbottita per non frisare il
parquet, oppure usavano a casa loro una asciugamano in cinque, ora
hanno le loro belle salviette con scritto Lui e Lei e le ripongono e
ripiegano con delicatezza. Così pure con le tazze della colazione e
quant’altro in casa!
Sarà
un mio pregiudizio, ma ho sempre letto un filo di tristezza negli
occhi di questi giovani sposi, a volte pare quasi si sentano in una
prigione. Sì, certo, costosamente arredata ma pur sempre una
prigione. Io quando uscivo a mi fermavo a guardare queste palazzine
residenziali costruite nel nulla, in mezzo ai campi, con un po’ di
malinconia me ne andavo come ci si allontana da un ospedale dopo che
si è andati a far visita a qualcuno. Anche per questa ragione,
all’inizio della mia carriera non riuscivo a vendere bene a queste
famigliole, mi sentivo in colpa come qualche mio coetaneo che veniva
spedito a vendere pentole o enciclopedie alle persone meno colte e
più suggestionabili nei casermoni di Cologno monzese.
Avrei
in seguito imparato a incattivirmi, o meglio estraniarmi dalla mia
coscienza, seguendo gli insegnamenti del mio capo distretto, il
“talebano” Frosi, ., ricordate?, Frosi invece si dimise
polemicamente dall’azienda per essere stata preferita alla sua
esperienza la figa di una collega nella promozione a dirigente, e
amareggiato sfogò la sua frustrazione in un livido pamphlet che
riapro a caso su un paragrafo:
Non
importa se un prodotto fa del bene o del male,
quello
che conta è che venga consumato in quantità sempre più crescenti.
Poiché tutto quello che fa la corporazione ha come fine ultimo la
creazione del profitto, non offre ai suoi lavoratori alcuna
soddisfazione personale, alcuna sensazione di contribuire qualcosa di
utile alla società: vai a lavorare per una corporazione e, tramite
un buon salario e vari incentivi, sei installato come un collegamento
senza volto in una catena che si allunga, completando il circolo
facendo di te un consumatore in più di tutta quella spazzatura. In
una società dove il lavoro era diventato il metro di valutazione di
ogni altro valore e l'uomo giudicato in base al suo rapporto con il
lavoro, questo veniva considerato come la sua stessa essenza, l'unico
modo in cui l'uomo trasforma la realtà, la possiede e la fa sua.
Penso
che questo paragrafo il Frosi l’avesse preso pari pari da Jonathan
Pilger.
Comunque
avevo appena spedito a Virginia quanto sopra che lei mi aveva già
riscritto quanto sotto.
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