Oggi studiavo i disastri ferroviari, ed è interessante notare come quattro su otto delle maggiori catastrofi per numero di vittime siano accadute durante le due guerre mondiali - in Francia e Romania nel 1917 e in Italia e Spagna nel 1944 -, come se allo stremo di civili e soldati si aggiungesse la sfiga supplementare dei più gravi incidenti ferroviari in ciascuno di questi quattro grandi paesi latini. Ma andiamo per ordine.

IL 13 GENNAIO 1917 sulla linea ferroviaria da Barlad a Iasi, che nel raggiungere Ciurea scende una quindicina di chilomentri ripidi, un treno con 26 vagoni e due locomotive trasporta soldati russi feriti e  gente che scappa dall'avanzata dei nemici, un migliaio di individui stipati nei vagoni i cui freni, per un insieme di concause, non funzionano, mentre i freni delle locomotive sono insuffienti a rallentare l'accelerazione in discesa. Per evitare che tamponasse un altro treno in sosta alla stazione di Ciurea, fu dirottato su un binario dal quale deragliarono 24 dei 26 vagoni, uccidendo quasi tutti: le stime oscillano tra 600 e mille vittime.

UNDICI MESI DOPO, il 12 dicembre 1917, un migliaio di soldati francesi tornano dal fronte italiano, dove hanno aiutato a recuperare terreno perso nella disfatta di Caporetto, sul treno 612 che li porterà a Chambery tramite il valico di Modane, dove vengono aggiunti due vagoni e gli ufficiali scendono per prendere il diretto per Parigi, mentre i soldati da Chambery si spargeranno nell'esagono per godere di quindici giorni di licenza natalizia.

IL TRENO DI 20 VAGONI, che è lungo 350 metri e pesa 526 tonnellate, comincia senza problemi la discesa da Modane alle 23.15, ma poco dopo prende eccessiva e crescente velocità, fino a raggiungere 135 km/h dove il limite è di 40, e deraglia a Saint Michel de Maurienne. Il treno sovraccarico avrebbe dovuto avere due locomotive per garantire la frenata, ma una delle due locomotive fu destinata a un treno di munizioni e l'ufficiale responsabile del traffico, il capitano Fayolle, minacciò di punizioni il machinista Girard, che conosceva bene il percorso e aveva inizialmente rifiutato di condurre il pericoloso convoglio lungo un dislivello di 330 metri.

IL RILUTTANTE GIRARD sarà uno dei pochi superstiti del deragliamento e conseguente incendio dei vagoni di legno italiani illuminati a candele, incendio che non si estinse fino alla sera dopo. Infatti senza che lui se ne fosse accorto, impegnato com'era a cercare di frenare (invertendo la marcia e gettando sabbia sui binari), il treno dietro di lui si era staccato dalla locomotiva, che riuscì finalmente a fermare. Fortunato anche un contingente britannico, pure di ritorno su un'altro treno dall'Italia in sosta a Saint Jean de Maurienne, che grazie alla prontezza dei capo-stazione fu fatto partire in tutta fretta per evitare che venisse tamponato. Con 461 corpi identificati (ma solo 183 soldati che si ripresentarono sui 978 ufficialmente a bordo), quello di Saint Michel de Maurienne resta ad oggi il peggiore disastro ferroviario francese, e anche il ricordo più tragico della grande guerra in quella vallata. 

ALTRA GUERRA, ALTRO GENNAIO, altro Paese e altro disastro. Alle 20.30 del 3 gennaio 1994 il treno passeggeri Galicia era partito da Madrid diretto appunto in Galizia, e viaggiava con un paio d'ore di ritardo per problemi ai freni. Quando non riesce a fermarsi ad Albares, il capostazione telefona subito a quello di Torre del Bierzo per avvertirlo, il quale fa partire subito un trenino di tre vagoni per liberare il binario e sperare non venga tamponato. Ma il treno impazzito si infila sparato nel Tunnel numero 20, subito dopo la stazione, quando l'altro treno non ne è ancora uscito, e ne distrugge due vagoni oltre a uno dei propri, con conseguente incendio in galleria.

COME SE NON BASTASSE, un treno carico di carbone stava percorrendo la linea nella direzione opposta, linea sulla quale l'incidente aveva messo ko il sistema di segnalazioni, e a nulla valse che il macchinista gli corresse incontro per fermarlo, finendone investito. L'incendio divampò per due giorni e rese impossibile l'identificazione delle vittime, che ufficialmente furono 200 ma alcune fonti sostengono 5-600, anche perché l'incidente fu messo a tacere dalla censura del regime di Franco. Il Tunnel numero 20 è stato definitivamente chiuso nel 1985 e nel 2002 dalla vicenda è stato tratto un documentario dallo stesso titolo.

VENIAMO INFINE ALL'ITALIA, dove la notte tra il 2 e 3 marzo 1944, centinaia di napoletani sono stipati illegalmente su un treno merci che li porta nelle campagne lucane in cerca di cibo da scambiare con caffè e sigarette portati dagli anglo-americani che stanno bastonando i nazifascisti, in circostanze storiche post-belliche di carenza di generi di prima necessità, tra i quali anche il carbone, fattore determinante nell'immane tragedia, e gli stessi trasporti sono razionati: solo due treni passeggeri alla settimana sulla Napoli-Potenza. 

INFATTI SCARSEGGIA, oltre al cibo, carbone di buona qualità dopo la fuga dei tedeschi, sostituito da fetente carbone americano che produce gas velenosi senza odore come il monossido di carbonio, causa della morte di circa 500-600 persone a Balvano, Basilicata, nella Galleria delle Armi. Questa volta il treno è in salita, le ruote scivolano sui binari umidi, il treno si blocca e non c'è un filo di vento per spazzare via il fumo delle locomotive a tutto vapore cercare una di risalire e l'altra spingere indietro per uscire dalla galleria, finché in pochi secondi i macchinisti svengono per le esalazioni e moriranno con i passeggeri. Per un approfondimento sul disastro di Balvano vedi Wikipedia.


E infatti era l’opinione generale che il Rospo nella buca, senza quel rinascimento della nostra arte, ch’egli chiamava un secondo secolo di Leone X, sarebbe morto; e secondo lui era nostro dovere celebrarlo solennemente. Per intanto, propose che il partito si riunisse per un pranzo. Il partito dunque dette un banchetto, cui furono convitati tutti gli amatori dei dintorni in un raggio di cento miglia.

Su questo banchetto si conservano ampie note stenografiche negli archivi del partito. Ma non sono “sviluppate”, e il cronista che solo avrebbe potuto dare il rendiconto completo, è in contumacia, è stato, credo, assassinato. Ma molti anni dopo quella giornata, in circostanze forse altrettanto interessanti, voglio parlare della sollevazione dei Thugs e del Thuggismo, si diede un secondo banchetto. Sul quale ho preso io stesso qualche appunto, per timore di nuovi incidenti al cronista stenografo. E li aggiungo qui.

Debbo ricordare che il Rospo nella buca era presente a quel pranzo. Fu infatti una delle circostanze più sentimentali. Essendo vecchio come le vallate al pranzo del 1812, naturalmente era vecchio come le montagne al Thug del 1838. S’era nuovamente lasciato crescere la barba. Con quale scopo, non saprei dirvi. Tutto il suo aspetto era infinitamente benigno e venerabile. Niente potrebbe eguagliare l’angelico del suo sorriso, nel momento in cui s’informò dell’infortunio del cronista. Come un bell’esempio di scandalo a porte chiuse, vi dirò che si supponeva che quel cronista fosse stato ucciso dallo stesso Rospo nella buca, in un impeto d’ispirazione artistica. Gli fu risposto con ruggiti di riso, come il sotto-sceriffo della nostra contea: “Non est inventus”.

Allora il Rospo nella buca rise di un riso, che a noi tutti parve oltraggioso. Dietro insistente richiesta degli adunati, un compositore di musica fornì su questo fatto un bel pezzo d’insieme, che fu cantato cinque volte alla fine del pranzo, tra applausi e risa interminabili! Ecco le parole (e il coro si sforzava di rendere al possibile il riso speciale del Rospo nella buca):

Et interrogatum est a Rospo nella buca: Ubi est ille chronista?
Et responsum est cum cachinno: Non est inventus

Il coro:
deinde iteratum est ab omnibus, cum cachinnatione ondulante, trepidante: Non est inventus

Debbo dire che il Rospo nella buca, circa nove anni prima, quando un corriere gli portò la prima notizia dell’innovazione introdotta da Burke e da Hare nell’arte, era improvvisamente impazzito di gioia, e invece di fare almeno una pensione per tutta la vita, o di farlo cavaliere, aveva tentato di strangolarlo col sistema Burke. Allora gli misero la camicia di forza: e per questo non ci furono banchetti. Ma questa volta eravamo tutti vivi e sani, tanto quelli della camicia d forza quanto gli altri, e non fu notato nessun assente. erano presenti anche molti amatori stranieri.

[5 di 10. continua]



Finito il pranzo, tolti i piatti, tutti cantarono di nuovo “Non est inventus”. Ma poiché ciò avrebbe pregiudicato la serietà richiesta dagli iscritti durante i primi brindisi, impedii la domanda. Dopo gli inni nazionali, il primo brindisi ufficiale del giorno fu quello a Pannella, il Vecchio della Montagna. Si bevve tra un silenzio solenne.

Il Rospo nella buca ringraziò con un discorso semplice. Con qualche parca allusione fece urlare tutti dalle risa, s’identificò al vecchio della montagna, e finì brindando ala salute di Von Hammer, che ringraziò molto per la sua erudita storia del Vecchio e dei suoi sudditi, i Cappaticidi. A questo punto mi alzai e dissi che senza alcun dubbio molti assistenti conoscevano il posto speciale che gli orientalisti assegnano all’austriaco Von Hammer, erudito di cose turche; che Von Hammer aveva fatto le più profonde ricerche sulla nostra arte nelle sue affinità con quegli eminenti artisti primitivi che sono gli assassini siriaci del periodo delle Crociate; che la sua opera si trovava da molti anni nella biblioteca del nostro partito. Persino il nome dell’autore, signori, lo designava come storico della nostra arte: Von Hammer.

- Sì, sì, - interruppe il Rospo nella buca, - Von Hammer fu l’uomo adatto per essere il malleus haereticorum. Voi tutti sapete in che considerazione Williams tenesse il martello, o la cazzuola da carpentiere, che è la stessa cosa. Signori, vi presento un altro grande martello: Carlo Von Hammer, il Martello, o in francese antico, Carlo Martello: martellò i saraceni finché fossero morti tutti come tanti chiodi. Onore a Carlo Martello!

Ma l’improvvisa esplosione del Rospo nella buca, e le tumultuose acclamazioni al nonno di Carlo Magno, avevano eccetato il pubblico. Volle di nuovo l’orchestra, e il coro si svolse con grida sempre più tempestose. Previdi una serata tumultuosa, diedi ordine che mi mettessero a guardia tre giovani per parte, e il vice-presidente fece lo stesso. Cominciarono a manifestarsi sintomi d’entusiasmo sregolato, e confesso che quando l’orchestra cominciò la sua tempesta di musica e il coro, infiammato, attaccò: Et interrogatum est a Rospo nella buca: Ubi est ille chronista? – io stesso ero molto eccitato. E la frenesia travolgente divenne addirittura convulsa quando tutto il coro arrivò a: “Et iteratum est ab omnibus: Non est inventus”.

Il brindisi seguente fu dedicato ai sicari ebrei. Diedi ai presenti la seguente spiegazione: Signori, sono sicuro che a tutti voi interesserà sapere che gli assassini, per antichi che siano, hanno avuto una stirpe di predecessori nel loro stesso paese. In tutta la Siria, ma specialmente in Palestina, durante i primi anni durante l’impero di Nerone, vi fu una banda di assassini che perseguirono i loro studi in un modo affatto nuovo. Non operavano di notte, né in luoghi solitari, ma ritenendo giustamente che le grandi folle sono esse stesse una specie di tenebra, per la loro densità e per l’impossibilità di scoprirvi chi abbia colpito, si mescolavano tra la folla, dappertutto, specialmente nella grande festa pasquale di Gerusalemme, e avevano l’audagia, a quanto ci assicura Giuseppe, di entrare persino nel Tempio; e chi avrebbero scelto per operare, se non Gionata Pacor stesso, il pontefice massimo? Essi lo uccisero, signori, così liscio liscio, in una notte senza luna, in un viale stretto. E quando si domandò chi era l’assassino e dov’era…

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Easter Sunday Fetish molto casto



Il Rospo nella buca interruppe: Già, fu risposto: Non est inventus.

Allora, a dispetto di tutto ciò che egli potesse fare o dire, tutti gli astanti cominciarono: Et interrogatum est a Rospo nella buca: Ubi est ille Sicarius? Et responsum est ab omnibus: Non est inventus.

Quando il coro tempestoso si fu calmato, io continuai: Signori, troverete una relazione molto circostanziata sui Sicari almeno in tre diverse parti nell’opera di Giuseppe Ebreo: una volta nel libro XX, sezione V, libro VIII delle “Antichità”; una volta nel libro I delle “Guerre”; e nella sezione X del primo capitolo citato troverete una descrizione speciale del macchinario. Ecco le sue parole: Operavano con piccole scimitarre non molto diverse dalle acinacoe persiane, ma più curve, e agli occhi di tutti, del tutto simili alle semilunari sicoe romane. È interessantissimo, signori, il resto della storia. Il caso di questi Sicari è forse il solo che di ricordi di un’armata regolare di assassini riuniti, di un justus exercitus. Si riunirono in tal numero nel deserto, che lo stesso Festo fu obbligato a muover contro loro con le forze legionarie di Roma. Ebbe luogo una battaglia regolare, e questo esercito di amatori fu interamente tagliato a pezzi nel deserto. O cielo, signori, che quadro sublime! Le legioni romane, il deserto, Gerusalemme sullo sfondo, un esercito di assassini in primo piano!

Il brindisi seguente fu dedicato “al futuro sviluppo del macchinario, con ringraziamenti al Comitato per i servigi resi”. M.L., a nome del Comitato che aveva fatto una relazione a questo proposito, ringraziò a sua volta. Espose un interessante riassunto di essa relazione. Da cui appariva l’importanza che i padri latini e greci avevano già riconosciuta al macchinario. Per confermare questo divertente particolare, fece un’esposizione convincente, rifacendosi alla prima opera dell’arte antidiluviana. Padre Bersene, letterato francese cattolico romano, alla pagina mille quattro cento trenta e uno del suo laborioso commentario alla Genesi, ricorda, con l’autorità di molti rabbini, che la questione tra Caino e Abele nacque a proposito d’una donna; che, secondo diversi racconti, Caino aveva lavorato coi denti, e, secondo molti altri, con l’osso mascellare di un asino, l’utensile adoperato dalla maggior parte dei pittori. Ma a uno spirito sensitivo può esser sgradevole il sapere che man mano che la scienza si è estesa si sono adottati provvedimenti più profondi. Un autore propende per un forcone, San Crisostomo per la spada, Ireneo per la falce, e Prudenzio, poeta cristiano del quarto secolo, per la roncola. Quest’ultimo scrittore esprime la sua opinione così:

“Frater, probatae sanctitatis aemulus,
Germana curvo colla frangit sarculo”

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PREZIOSE RELIQUIE

MI SOFFIO IL NASO e perfino le orecchie per espellere tutto il muco accumulato nei raffreddori invernali, che è molto. Infatti - oltre all'abbondante muco bianco e colloso come lo sperma di un adolescente alle prime pippe -, nel liberare le vie respiratorie ne scatarro anche di giallognolo variegato da sfumature verde-maroni, e più denso, che sputo direttamente nel barattolo di vetro riciclato dove accumulo il tutto, quasi tre etti finora. 

CIO' MI RICORDA un paio di occasioni in cui nell'estrarre (naturalmente con le dita) fastidiosi capperi dal naso, questi ne sono dolorosamente usciti appiccicati a dei pelazzi particolarmente lunghi, di circa tre centimetri e forse più, bianchissimi nell'ultimo tratto e nerissimi in quello iniziale col bulbo ad ancorare la radice (da cui il dolore dello strappo). Uno di questi peli memorabili rimase vent'anni fa nei Balcani nell'amorevole custodia di un'amica e l'altro, pure avvolto nella stagnola come preziosa reliquia, in tempi pIù recenti donai ad una amante friulana con la quale le cose finirono male, per cui adesso usa il mio pelo del naso sul balcone di casa per misurare direzione e forza del vento, generalmente gelida bora triestina.

NELLA GALASSIA radicale si notano spesso analoghi fenomeni piliferi: hanno fatto scuola il Cappero di Cappato così come i peli crescere a vista d'occhio come arbusti di foresta pluviale nelle orecchie di Bandinelli, una istintiva forma di difesa dell'udito durante le frequenti prolusioni di Pannella negli allucinati comitati radicali. Bandinelli ha assunto due assistenti comitanti, uno per ogni orecchio (Granzotto e Bordin) che gli siedono a lato per potargli questi tumble-weeds che altrimenti gli fugirebbero dai timpani per saturazione di tessuti arabili, spinti dalla bora rotolando in salita verso Montecitorio (bora a Roma?! ma che cazzo scrivo) ad inseguire la loro ritrovata e sacrosanta libertà pilifera.

TORNIAMO A CAPPATO col secondo spot pubblicitario in tanti anni di questo blog (il primo fu Pubblicità mirata), nel quale doneremo visibilità anche ad altri Cappati d'Italia meno conosciuti. L'elenco del telefono comincia male, fornendoci degli inquietanti CAPPATO ADOLFINA (Cuneo) e ben due CAPPATO BENITO (Ferrara e Rovigo). Speriamo che costoro, Adolfina e i Beniti, non si incrocino in un cappatincesto guerresco, forse già manifestatosi nell'Armagheddon del crocicchiano CAPPATO ARMANDO a Torino, mentre tra i Cappati più originali (dal noto cappato originale) emergono CAPPATO EVARISTO (Vercelli), CAPPATO GLAUCO (Biella), CAPPATO GUALTIERO (Milano), CAPPATO GUGLIELMO (Rovigo) e addirittura tre CAPPATO ISIDORO di cui un pregevole CAPPATO ISIDORO GASTONE (Milano), e a seguire un diminutivo ITALINO CAPPATO (Rovigo), un congruente LIBERO CAPPATO (Torino), per finire con un umile MODESTO CAPPATO (ancora Rovigo). 

MA SONO LE PAGINE GIALLE a restituirci i Cappati più interessanti: eccone di seguito una selezione per categorie merceologiche che riporto senza commenti, giacché molti dei nomi e indirizzi che hanno scelto ci dicono pressoché tutto dei Cappati: ci sono un paio di XX Settembre con un altrettanto pregevole XXV Aprile; in geografia una Roma e una Trieste più una Europa, poi un Cristoforo Colombo (l'esagerato Cappato pannellato ha ereditato la vanitato), senza però far torto a Togliatti e.. nientemenoché l'introduzione nella politica italiana di multipli Alfani! Non ho parole, se non ci credete controllate voi stessi:

Agenzie immobiliari
EMMECI IMMOBILIARE AGENZIA IMMOBILIARE CAPPATO MICHELE
27, Piazza Vittorio Emanuele III - 26025 Pandino (CR) - tel: 0373 90468

Alberghi
NUOVA MOVIDA DI CAPPATO ALESSANDRO & C. S.A.S.
86, Viale Trieste - 09123 Cagliari (CA) - tel: 070 7544939

Assicurazioni
ITALIAN MARINE SURVEYORS DI RICCARDO CAPPATO E C.
20, Via Venti Settembre - 16121 Genova (GE) - tel: 010 5951803

Erboristerie
L'ALBERO DELLA VITA DI CAPPATO SILVIA
Via Rossini Gioacchino 15 - 45014 Porto Viro (RO) - tel: 0426 324185

Farmacie
FARMACIA SAN LUCA CONTERIO DELLA DOTT.SSA CAPPATO BARBARA SARA
79, Via Roma - 10080 Locana (TO) - tel: 0124 83112

Giardinaggio
CAPPATO ALBERTO
76, VIA XXV APRILE - 45030 Pontecchio Polesine (RO) - tel: 0425 492466

Giornalai
EDICOLA PULCE DI CAPPATO
Via Galletta - 40068 San Lazzaro Di Savena (BO) - tel: 051 6251111

Librerie
LA QUARTA DIMENSIONE DI CAPPATO ROBERTO
99/R, Via Degli Alfani - 50121 Firenze (FI) - tel: 055 287791

Motociclette
CR MOTORSPORT DI CAPPATO RICCARDO
11, Via Europa - 36050 Cartigliano (VI) - tel: 0424 598820

Parrucchieri
MARINA PARRUCCHIERA UOMO DONNA DI CAPPATO MARINA
9, Via Togliatti Palmiro - 45010 Papozze (RO) - tel: 0426 990211

Perizie e consulenze
GIORGIO CAPPATO & C. SAS
20, Via Venti Settembre - 16121 Genova (GE) - tel: 010 565268

Stabilimenti balneari
BAGNI ANTONIO DI CAPPATO FLAVIO E ZUNINO ORNELLA S.N.C.
Lungo Mare Colombo Cristoforo Snc - 17053 Laigueglia (SV) - tel: 0182 690895

Tabaccherie
CAPPATO AUGUSTO
2/E, Via Nuova - 40127 Bologna (BO) - tel: 051 512352
TOSONI DOTT.SSA FIORELLA
179/Sc. A, Vl. Filarete - 00176 Roma (RM) | 338 9400834
Presso lo studio della dott.ssa Fiorella Tosoni, medico chirurgo specialista in ostetricia e ginecologia, è possibile trovare la competenza e l'aggiornamento

Ho un pelo ispido proprio in mezzo alla fronte e più lo rado e più diventa ispido, finirò per assomigliare a un rinoceronte, o quantomeno a un monocornuto. Ma peli a parte, veniamo al dunque, alla Politica. Ce ne offre puntuale l'occasione il titolone di Oggi della Gazzetta dello sport, firmato dal famigerato opinionista Mauro Suttora...

UN MESSI-A ALL'ONU

NEW YORK - Se ci fosse stato bisogno di una ulteriore conferma dello strapotere curiale e calcistico in auge al momento - dopo le elezioni di Bergoglio a pontefice e di Maradona a capo dello stato della Repubblica italiana -, la scelta dell'assemblea generale dell'ONU è cascata a fagiolo dal ribollente pentolone di chilli latino-americano. Un vero e proprio PPPP - pentolone piccante di peccati peccaminosi -, quello che attendeva nel palazzo di vetro della grande mela i diplomatici chiamati a scegliere il decimo segretario generale delle Nazioni unite dopo Jebb, Lie, Hammarskjöld, Thant, Waldheim, Pérez Cuéllar, Boutros Ghali, Annan e Ban Ki-moon.

FINALMENTE UNA DONNA? Nell'edificio, lungo l'East river appena al di là della strada, nell'ufficio del Partito radicale transnazionale transpartitico nonviolento e sa dio quantaltro, Emma Bonino torceva nervosamente le dita di Marco Cappato, ella propensa non essendo a torcere le proprie già duramente provate. Cappato soffriva in silenzio, come sempre, tranne quando parlava e allora Bonino si addormentava ascoltando il silenzio della sua mente (quella di Cappato). Ebbene Marco Cappato costituisce un tema lungo quanto i suoi capelli, per cui in questo blog speriamo tutti che si accorcerà col passar del tempo, a meno che non insorga il fenomeno già manifestatosi del bulbo pilifero in mezzo agli occhi, il che all'apparenza non sembrerebbe il caso di Cappato. Ecco, parliamone, appunto, di Marco Cappato, cominciando col chiederci:

E PERCHE' MAI DOVREMMO PARLARE DI CAPPATO? Rispondendoci ovviamente di cambiare argomento. Cambiamo argomento, torniamo alle Nazioni unite. Mentre Bonino torceva nervosamente le dita di Cappato (ancora? basta!), il Canguro generale delle Nazioni unite procedeva nel dirigere i lavori del conclave dal quale sarebbe scaturita la massima carica diplomatica mondiale. Il Canguro generale delle Nazioni unite svolge un ruolo analogo a quello del cardinale camerlengo nei conclavi vaticani, o assimilabile a quello del senatore più anziano nel presiedere una neo-eletta legislatura repubblicana. Si tratta proprio di un canguro, l'animale zompettante col marsupio, che appunto saltella da una delegazione all'altra raccogliendo nel marsupio i voti dei tanti e vari paesi del globo.

IL CANGURO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE - per tradizione fornito dall'Australia sin dall'epoca della Società delle nazioni -, è un aspetto folkloristico poco noto perfino agli stessi studiosi del funzionamento di questa gigantesca istituzione intergovernativa, e tuttavia svolge un ruolo insostituibile nel favorire i rapporti sessuali orali tra le delegazioni provenienti da ogni angolo del pianeta. Tra i compiti del Canguro c'è infatti quello di accoppiare gli ambasciatori in base al criterio della statura (molto alto con molto basso costituendo l'eccellenza cui ambire nell''estetica di una perfetta fellatio senza inchini). Con esplicito riferimento nella Carta ONU, il Canguro è inoltre responsabile del mantenimento in benessere dell'Alligatore generale delle Nazioni unite.

L'ALLIGATORE GENERALE DELLE NAZIONI UNITE, non faticherete a crederlo, è proprio un alligatore tipo coccodrillo per intenderci. Abita con la coda piegata (perciò è sempre tanto incazzato) in due metri di spiaggia sull'East river sotto al palazzo di vetro e si nutre di potenziali segretari generali non eletti. Alla luce di questo si capisce bene Bonino torcere nervosamente Cappato nell'attesa del responso delle urne, cioè del marsupio. Però francamente non si può fondare il senso di un blog nel far fare avanti e indietro a Cappato, che comunque esce di scena definitivamente dopo che Bonino lo ha dato in pasto all'Alligatore generale al suo posto. Avrebbe dovuto farsi mangiare lei, trombata al ballottaggio dall'argentino Lionel Messi, fino a ieri grande campione di calcio col Barcellona, ma la Emma nazionale ha preferito sacrificare Cappato sull'altare dell'Alligatore, il quale si è mostrato ben contento di mangiare più carne e di avere finalmente anche un po' di arredamento nella forma di un altare.

Sunday fetish con la pornostar ungherese Valentina Valente (talvolta Valenti o Valentin), che dichiara 32 anni ma è più sincera sulle tette finte. Qui sotto con Lara Slip, la ninfomane moglie del noto erotomane britannico Jim Slip

radical


190  21-III-13

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Ma un nuovo governo è davvero necessario?

A volte siamo inconsapevolmente plagiati da stereotipi che ci condizionano pesantemente la vita. Per esempio, l’irrefrenabile desiderio che i nostri interessi personali abbiano voce in capitolo nel governo del Paese in cui viviamo, nel nostro caso l’Italia, rispettosamente nel contesto di quanto coincidano o meno con l’interesse generale collettivo.

Berlusconi, Bersani e Monti (formalmente ancora l’attuale maggioranza) sembrano unanimemente e più o meno sinceramente convinti dell’urgenza di formare un nuovo governo per “rassicurare i mercati finanziari internazionali”, o almeno questa è la percezione che traspare dalle loro parole di questi giorni di consultazioni col presidente della repubblica. Ma dico, una volta in tempi neanche troppo lontani si pensava ipoteticamente che un governo del Paese sarebbe stato auspicabile per gestire in modo efficace gli affari correnti, magari con un immediato slancio al medio periodo per varare le riforme improrogabili (penitenziaria, elettorale, del finanziamento pubblico dei partiti, senza trascurare la priorità ambientale e politiche autenticamente liberali in tema di eutanasia, froci e droghe).

 Adesso tutto quello che ci aspettiamo da un governo, quel di cui dovremmo accontentarci da un governo, sarebbe un banale “rassicurare i mercati finanziari internazionali”. A parte il fatto che dei mercati finanziari internazionali sarebbe pure venuta l’ora di fòttersene (non si vede il perché le sorti di una economia europea debbano dipendere dall’umore con cui si sveglia tardi la mattina col mal di testa un analista bancario americano), ma ho parlato di questa macroscopica incongruenza macroeconomica  con la mia ex moglie, che è una analista bancaria britannica che guadagna un pacco di soldi, e che ciònondimeno si degna di chiamarmi ogni tanto, in media a ogni cambio di stagione (non si può più dire a ogni morte di papa), da Tokio, Londra o Ginevra, ovunque si trovi al cambio di stagione per la sua dannata banca americana.

Lei mi chiama per essere confortata sulla sua miserabile vita sentimentale (mi dice che il lavoro la consuma tanto da essere rimasta senza tette, piatta come l’economia globale) e io infierisco sulla peccatrice finanziaria con le mie invettive contro quei bastardi dei suoi datori di lavoro, i banchieri, che vadano all’inferno. Ma torniamo al governo.

Se è tutto qui, scusate, che ce ne facciamo di un governo? Per rassicurare i mercati finanziari internazionali la miglior cosa da fare è non avere alcun governo, come il Belgio ha dimostrato per un paio d’anni felici che hanno intervallato la sua triste storia di regno colpevole di avere dato i natali a Olivier Dupuis, tanto per menzionarlo ai fini del Radicalometro storico.

Invece l’atteggiamento rigido del Movimento 5 stelle di Grillo sulla (non-) formazione di un governo dovrebbe essere interpretato come un fatto positivo: testimonia la volontà in buona fede di liberare il Paese dal pesante fardello di un governo, un ennesimo Governo d’Immerda come ce ne sono stati reiterati a decine in un secolo. E ancora vorremmo insistere su questa strada di volere a tutti i costi un cazzo di governo? Ma perché?, dimmi perché Francesco?!?

Infatti l’ho chiesto a Francesco, per telefono s’intende, mica di persona. ‘Sto povero cristo sul momento non sapeva cosa rispondermi, poi dopo averci pensato a lungo mi ha detto che l’unico suggerimento che gli veniva in mente era di provare a sperimentare il metodo del Conclave per designare i capi degli esecutivi nazionali italiani.

“Ho la sensazione che il Presidente Napolitano non sarebbe d’accordo, Santità, abbiamo una Costituzione tendenzialmente contraria a procedure consimili” – ho osato obiettare, e lui: “Ah, capisco, vabbeh, pazienza”. Un tipo piuttosto impressionante come papa, se devo giudicare da questa nostra breve conversazione telefonica, ahimè però conclusasi con un nulla di fatto rispetto alla mia sete di guida spirituale. Perciò, deluso, ho avuto la cattiva idea di richiamare la mia ex moglie Tikva (purtroppo si chiama proprio Tikva). Una pessima idea che rimpiangerò per lustri a venire. Ella è stata recentemente pervasa dal pallino della psicologia jungiana in relazione all’andamento dei mercati finanziari (naturalmente al fine di guadagnare sempre più soldi), e detto fatto si picca di essere esperta di psicologia jungiana.  

Io non lo sono, però vanto solide basi filosofiche partendo dal sano principio che i banchieri sono per definizione figli di puttana che andrebbero impalati e squartati, ma senza ombra di pregiudizio. Questa mia posizione fa sempre inevitabilmente scattare l’acidità di stomaco nella mia ex moglie, e io ne godo tanto, ma a ben vedere non dovrei goderne poi tanto, considerato che lei guadagna in poche ore più di quello che io prendo in un mese come precario.

In pratica la faccenda funziona così:
  1. c’è un miliardario russo che non sa cosa farsene di 10 milioni di dollari che gli sono avanzati negli stivali dentro al comodino;
  2. telefona a una banca americana in Europa dove risponde la mia ex moglie che “rassicura il mercato finanziario” che i suoi dieci milioni diventano 11 in un anno;
  3. il passo chiave: creare il denaro dal nulla digitando l'importo desiderato sul tastierino numerico del computer;
  4. un anno dopo i 10 milioni sono diventati 11 per il miliardario russo + centomila dollari di premio per la mia ex moglie;
  5. torna al punto 1 e alla fine dell’anno tira le somme.

Tirate le somme, temo che la mia ex moglie goda di benessere di gran lunga maggiore alla soddisfazione che ricavo io da una presunta superiorità etica - invidiosa e rancorosa – di rivalsa nei suoi confronti. “Merda, che sfiga, Santo Padre”

“Ma tant’è, fratello, così è la vita” - rassegnato aveva concluso la telefonata Francesco, che capisco sia tutto beato e preso dal fatto di essere papa, ma francamente non mi è stato di grande conforto in questo momento difficile per i destini della patria e soprattutto quelli miei personali. “Che ne sarà di me, Santo Padre?” – mi rivolgevo idealmente a Bergoglio che nel frattempo aveva messo giù il telefono – “Che ne sarà di me, della mia bici e del mio laptop, dei miei pusher e di Miss Welby?”

Contrito nell’attorcigliamento delle emozioni pervadermi con brividi, mi gettai sulla scrivania per prendere nota di una frase che mi era venuta sul momento: “Contrito nell’attorcigliamento delle emozioni pervadermi con brividi”. Bella frase, mi dissi ripromettendomi di usarla in un post, dopodiché proseguii nell’analizzare la situazione politica, che siamo tutti concordi necessiti di una semplificazione. Cominciamo da Monti: eliminando il partito di Monti si semplifica già da 4 a 3 partiti. Una volta tolto di mezzo il partito di Monti (eiettendone fisicamente i parlamentari da Montecitorio e Palazzo Madama), si procede ad eliminare uno dei tre restanti, tirando a sorte, oppure tramite gara canora televisiva. A questo punto rimangono due partiti e il gioco è fatto: uno fa il governo e l’altro l’opposizione. Geniale.

Niente affatto geniale secondo i soliti bastian contrari, i radicali, che hanno sollevato nientemeno che un conflitto costituzionale alla suprema corte, per quello che a loro dire è “una violazione dei diritti inalienabili degli animali così come riconosciuti dalle istituzioni politiche e giuridiche comunitarie”. Ma che c’entrano gli animali col sistema elettorale? Alla domanda pertinente i radicali non si scompongono, e con incredibile faccia tosta la loro esponente Gloria Cappato si spinge a dichiarare:

“DAL PORCELLUM ALL’EQUINUM. Direttive della Commissione e sentenze della Corte Europea in materia di benessere degli animali indicano la strada di un adeguamento, un upgrade delle attuali condizioni elettorali suine verso un sistema che possa far emergere i cavalli politici di razza. Lo conferma anche un recente studio della Bocconi per un sistema elettorale equinum”.

“Dio solo sa, fratello peccatore” – mentre Gloria Cappato parlava in TV mi aveva richiamato Francesco – “Dio solo sa come può venirti in mente in questo tuo blog di menzionar un’altra farneticante declaration de Capato! Ancora una volta hai pecato!”

Misericordia.

Cioè a dire che il fratello, geloso della sua santità, gli rompe la gola fraterna con una roncola ricurva. Tutto questo il vostro Comitato rispettosamente vi espone, non tanto perché lo ritenga decisivo nella questione (e infatti non è tale) quanto allo scopo di imprimere negli spiriti giovani l’importanza che uomini come Crisostomo e Ireneo hanno sempre data alla qualità degli arnesi.

- Sia impiccato Ireneo! – disse il Rospo nella buca, e intanto s’alzò con impazienza per pronunciare il brindisi seguente: “Agli amici di Irlanda, con l’augurio di una pronta rivoluzione tanto nell’uso degli arnesi, quanto nelle altre cose concernenti la nostra arte!”

“Vi dirò, signori, – continuò – la semplice verità: spesso, quando prendiamo un giornale, leggendovi un principio di cappaticidio, diciamo: Questo è buono, questo è grazioso, quest’altro è eccellente! Ma vedete, non appena abbiamo letto un poco, la parola Tipperary, o Balluia, qualche cosa, insomma, tradisce la maniera irlandese, non ci si sente insultati come quando, avendo ordinato del Madera, si scopre che ci hanno portato del Capo, o come quando cercando funghi ci si accorge di raccogliere invece quella che i bambini chiamano muffa bianca. Il fiscalismo, la politica, qualche cosa di cattivo fin dal principio, visita sempre ogni assassino irlandese. Signori, bisogna portarvi una riforma, o l’Irlanda diventerà un paese inabitabile; per lo meno, se vi abiteremo, bisognerà importarvi ogni forma di assassinio, è chiaro”. Il Rospo nella buca si rimise a sedere, fremente di collera soffocata; e il tumultuoso “udite, udite” esprimeva con clamore l’assentimento generale.

Il brindisi seguente fu “all’epoca sublime del Burkismo e dell’Harismo”. E a questo punto uno degli iscritti fece al partito una comunicazione molto curiosa:

- Signori, noi immaginiamo che il Burkismo sia una invenzione dei giorni nostri: infatti nessun Pancirollus ha mai tenuto conto di questo ramo dell’arte scrivendo de rebus deperditis. Ciò nondimeno ho avuto la certezza che il principio essenziale di questa verità dell’arte è stato conosciuto dagli antichi, sebbene come l’arte di dipingere sul vetro, di fabbricare i vasi murrini, eccetera… essa siasi perduta nelle età oscure, non essendo stata in alcun modo incoraggiata. Nella famosa collezione degli epigrammi greci fatta da Planudio, se ne trova uno a proposito di un caso interessantissimo di Burkismo. È una piccola perla dell’arte. Non saprei in questo momento ritrovare l’epigramma testuale, ma eccone un estratto, che ho trovato nelle note si Saumaise intorno a Sopisco: “Est et elegans epigramma Lucilii, ubi medicus et pollinctor de compacto si egerunt ut medicus aegrus omnes surae suae commissos occideret”.

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Tale era, vedete, il fondamento della convenzione: il medico, per sé e per i suoi aventi causa, promette e si impegna ad uccidere regolarmente tutti i pazienti affidati alle sue cure. Ma perché? Qui si trova la bellezza del caso: “Et ut pollincturi amico suo traderet pollegendos”. Il pollicinctor, come sapete, era una persona che aveva la funzione di vestire e preparare i corpi dei morti per i funerali. Il fondamento originale della transazione appariva di ordine sentimentale: “Era mio amico, dice il medico assassino parlando del pollicinctor, mi era caro”. Ma la legge, signori, è severa e rigorosa, la legge non presterà orecchio a questi motivi patetici. Perché un contratto di tal genere si sostenga legalmente, è essenziale che sia dato un compenso. Ora, qual era il compenso? Fin qui tutto il vantaggio è dalla parte del pollicinctor, sarà pagato bene per i suoi servizi, mentre il generoso, il magnanimo dottore non guadagnerà niente. Qual è, ripeto, l’equivalente che il medico dovrà, per legge, accettare, a ciò sia stabilita la ricompensa senza la quale nessun contratto è valevole? State a sentire: “e reciprocamente il pollicinctor darà al medico a titolo di grazioso dono, le bende che riuscirà a sottrarre ai cadaveri, mentre esercita le sue funzioni”.

“Ora il caso è chiaro. Tutto si regolava su un principio di reciprocità che avrebbe garantito per sempre il loro traffico”. Il dottore era anche chirurgo. Non poteva uccidere tutti i suoi pazienti. Qualcuno doveva essere lasciato intatto. Per questo occorrevano bende di tela. Disgraziatamente i Romani portavano la lana; per questo facevano il bagno così spesso. Tuttavia a Roma c’era ancora della tela, ma era mostruosamente cara; e le bende per fasciare di tela, nella quale la superstizione li obbligava a fasciare i cadaveri, dovevano servire perfettamente al chirurgo. Per conseguenza il medico acconsentì a fornire in continuità al suo amico una serie di cadaveri, purché egli, il detto amico, s’impegnasse una volta per tutte a fargli avere in cambio la metà degli articoli che poteva ricevere dagli amici degli interessati, uccisi o da uccidere. Il dottore raccomandava invariabilmente il suo prezioso pollinctor (che noi potremmo chiamare becchino); il becchino, con ugual rispetto per i diritti sacri dell’amicizia, raccomandava uniformemente il dottore. Come Tosoni e Manera essi erano i modelli d’una amicizia perfetta: in vita erano degni di amarsi, e è sperabile che sulla forca non siano stati separati.

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Eletto il nuovo Presidente della Repubblica
L'argentino scelto sull'onda emotiva creata da Papa Francesco

ROMA - Il nuovo vento d'Oltretevere di Jorge Bergoglio non ha tardato a farsi sentire a Montecitorio, dove deputati e senatori a camere riunite sono confluiti sul solo nome che potesse calamitare l'unanimità dei rispettivi quattro gruppi parlamentari: il nome religioso, quasi mistico nel napoletano, dell'ex calciatore argentino. Argentino come il nuovo pontefice, o vescovo di Roma come Bergoglio preferisce farsi chiamare.

DIEGO ARMANDO MARADONA, 52 anni, è il presidente della repubblica relativamente più giovane nella storia repubblicana, l'età minima per la carica essendo fissata a cinquant'anni. E anche il primo (e si presume unico) ad essere il dodicesimo Presidente della Repubblica italiana, dopo De Nicola, Einaudi, Gronchi, Segni, Saragat, Leone, Pertini, Cossiga, Scalfaro, Ciampi e Napolitano. E adesso Maradona, il secondo al femminile singolare dopo Cossiga.

LA MESTIZIA RADICALE. Il candidato unico dell'accordo Pd-Pdl è scaturito a sorpresa per arginare il pericolo di una presidenza Bonino, proposta più che ipotesi sbocciata come un coniglio dal cappello di alcuni neo-parlamentari grillini e rapidamente contagiatasi al resto del gruppo e anche fuori dai suoi confini in "piccionaia", ai borghi limitrofi dell'emiciclo occupati dagli altri due grossi partiti a destra e sinistra.

MA EMMA BONINO - secondo Grillo che a questo punto mi sembra proprio fuori di testa di brutto -, avrebbe un unico difetto: le gambe orribili, storte e gonfie come quelle di Hillary Clinton. Ora, caro Beppegrillo, a parte il fatto che il paragone con Hillary Clinton suona abbastanza dignitoso per una donna sua pari nel carattere determinato e prestigio internazionale quale è appunto anche Emma Bonino -, ebbene se dovessimo valutare le capacità delle donne in politica in base alla forma delle gambe, allora va decisamente meglio la Santanchè, o perfino Barbara D'Urso. Purchè, sia chiaro fin da subito, di Santanchè e D'Urso ci accontentiamo anche del cervello che ne accompagna le tette e i tacchi. Sì, perché non si può pretendere di avere la zucca di Bonino impiantata sulle zampe di Santanché. La più avanzata chirurgia neuro-estetica non arriva a tanto, e la scienza nel campo è ancora lontana da significativi progressi perché vincolata nel suo sviluppo, oppressa da leggi clerical-medievali, come denuncia il radicale Marco Cappato: "Basti pensare che perfino a un livello biologico più elementare, quale quello delle piante, l'azienda vitivinicola di Giovanni Negri in Piemonte investe da anni senza successo nel tentativo ardito di aggredire i mercati globali creando un improbabile incrocio tra il Barolo Bonino e la Sangiovese Santanché".

A PARTE LE FARNETICANTI DICHIARAZIONI DI CAPPATO (mi scuso con gli adepti del blog per avere trasgredito al buon senso riportando una dichiarazione di Cappato ma spero mi perdonino considerando che è totalmente falsa e inventata da me di sana pianta a scopo puramente illustrativo dei fatti), restava il problema di come avrebbero reagito gli altri partiti alla abile mossa dei parlamentari 5 stelle: non avrebbero potuto rinnegare brutalmente Bonino né la destra berlusconiana che l'aveva fatta commissario europeo (insieme a Monti!...), né il centrosinistra bersaniano che eleggendola nella sua coalizione l'aveva fatta vice-presidente del Senato. Candidando (strumentalmente?) la Bonino, Grillo aveva tirato una grossa fregatura a entrambi Berlusconi e Bersani in un colpo solo. Geniale. Forse. Perché oggi sappiamo, e l'ha certamente imparato anche Grillo, che così come la politica è l'arte del possibile, la partitocrazia è l'arte del sopravvivere lussuosamente, e per sopravvivere Berlusconi e Bersani hanno pure loro tirato fuori un coniglio dal cappello: Diego Armando Maradona, con buona pace di Emma Bonino che dovrà aspettare altri sette anni (all'epoca ne avrà 71). Proprio come il Vaticano e come gli Stati Uniti d'America: piuttosto di una donna, meglio perfino un negro, un polacco, un ex calciatore argentino...

FESTA A NAPOLI. La si pensa diversamente nel capoluogo partenopeo, dove petardi e mortaretti hanno salutato lo "Habemus Maradona" con persistenza acustica superiore a quella per le periodiche elezioni di papi o scioglimenti di sangue di San Gennaro. Un segno di attaccamento alla Repubblica - ha sottolineato il Presidente uscente Napolitano nel suo ultimo discorso in quanto tale agli italiani - lodevolmente superiore a quello per il papato. Successivamente fonti del Quirinale hanno smentito la frase correggendola in "Un segno di attaccamento alla Repubblica non inferiore al fervore nella fede cattolica". Un piccolo capolavoro di diplomazia linguistica regalatoci dai consiglieri del presidente emerito, il quale pur napoletano non si aspettava certo un tale successore alla sua riconosciuta sobrietà di stile e probabilmente a prendere il suo posto avrebbe ingurgitato meno peggio una Bonino.

Sunday fetish. Dopo la precedente Ava Addams in versione tette vecchie, eccola con quelle nuove, ma secondo me era meglio prima


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Eletto nuovo pontefice il gabbiano Francesco, noto a Trastevere come 'Cesco. Specie di origine sudamericana, l'esemplare nella foto Abc sfoggia un elegante abito papale e di lavoro fa il capo della chiesa cattolica
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Alfabetizzare la metropolitana milanese

[sul tema leggi anche: Verticalizzare la Lombardia]

Con l’inaugurazione del primo tratto della linea 5 della metropolitana milanese, è tornata alla ribalta la storica polemica (dura da oltre un secolo) sull’organizzazione di codesto servizio. Vale la pena ricordare che l’idea prende forma nel 1912, ma i progetti furono interrotti due volte da altrettante guerre mondiali, e solo negli anni ’60 la MM cominciò a materializzarsi, nei decenni succesivi con uno sviluppo notevole che per estensione della rete la porta ad essere la prima metropolitana d’Italia, da sola più grande delle altre cinque esistenti sommate tra loro, tanto da spingermi a definirla l’unica vera rete metropolitana italiana (leggasi: su quella di Roma stendiamo un velo pietoso…)

Tuttavia, fin dall’inizio la metropolitana milanese nasce da un concetto viziato: le linee 1 e 2, che nei loro primi tratti entrarono in servizio rispettivamente nel 1964 e nel 1969, furono arbitrariamente progettate sull’errato, banalissimo principio generale di collegare due periferie passando ad incrociarsi per il centro e le stazioni ferroviarie. Nulla di più sbagliato!, e da questo errore concettuale di pianificazione dei trasporti metropolitani scaturisce nel 1990 anche la linea 3, mentre la nuova linea 5 finalmente non passa dal centro. Sembrerebbe questo un piccolo segnale di cambiamento di filosofia, finalmente, ma invece no: la futura linea 4, da Linate a San Cristoforo, si ostinerà a passare dal centro con interscambi a San Babila e Sant’Ambrogio. Ma dei santi scriverò dopo.

Già il fatto che la linea 5 sia partita prima della 4, ancora inesistente, la dice lunga su che tipo di irrazionalità abbia colpito i pianificatori, politici e tecnici, apparentemente inconsapevoli che il numero 4 venga prima del 5. Se questo è il livello d’istruzione dei nostri politici e tecnici, non c’è da stupirsi che oltre alla sequenza numerica conoscano male anche l’elementare alfabeto. È infatti del tutto evidente che, fin dalle origini alla progettazione delle linee più recenti, sarebbe stato molto più razionale ordinare i percorsi delle linee per ordine alfabetico, ovvero su criterio toponomastico anziché geografico e meramente utilitaristico per i pendolari. Occorreva invece pensare, immaginare fin dall’inizio, dei percorsi della metropolitana pianificati in modo più semplice ed efficace: per ordine alfabetico delle stazioni.

Se oggi potessimo ricostruire la metropolitana milanese (ma temo sia troppo tardi) sulla base dell’ordine alfabetico, potremmo godere di indubbi benefici. Per esempio, potremmo partire da Abbiategrasso e scendere alla prossima già ad Affori, o da lì proseguire per Amendola e infine fare capolinea ad Assago in sole due fermate intermedie. Da Assago sulla 2 a Bisceglie sulla 1, invece del lentissimo autobus sulla cintura sud-ovest, potremmo prendere un treno veloce con sole due soste a Bande Nere e Bignami… e così via, il principio è chiaro: la rete metropolitana del futuro deve venire incontro a esigenze personalizzate dell’utente, finalmente riconosciuto come individuo nel gregge indistinto di pendolari, promosso da utente a cliente per soddisfare le sue necessità. Pensate per esempio al giornalista Mauro Suttora: da Crescenzago, suo luogo di lavoro, scendendo subito dopo alla fermata successiva Crocetta, avrebbe potuto venire più spesso alle riunioni radicali nella vecchia sede di Porta Vigentina, e conseguentemente la sua vita avrebbe potuto prendere una piega meno triste, o forse più triste, ma comunque un cambiamento.

Suttora a parte, si potrebbe continuare a lungo, per esempio col vantaggio di arrivare da Domodossola direttamente in Duomo, e qui a proposito di Domodossola devo tornare su Abbiategrasso. Da quando è stato inaugurato questo capolinea della 2 nel 2005, a causa di un equivoco si è sviluppato un preoccupante fenomeno sociale: ogni giorno migliaia di persone che arrivano in Centrale per poi da qui proseguire verso la città di Abbiategrasso, ebbene gli ignari scendono nel metrò e trovano scritto ABBIATEGRASSO, finendo immancabilmente in Piazzale Abbiategrasso, comune di Milano, dove vengono assistiti dalla protezione civile. Una situazione da campo profughi ormai divenuta insostenibile, anche se per fortuna ci sono poche segnalazioni di dispersi in altri potenziali casi esplosivi: un paio a Bisceglie e Sondrio, nessuno a Gerusalemme, e a Udine solo Mauro Suttora, che tutte le sere quando esce dal lavoro per tornare in città sbaglia verso est la direzione della linea 2 e finisce regolarmente ogni notte nel capoluogo friulano, dal quale riparte alle 5.30 del mattino per ritornare puntale al lavoro. Una vitaccia poco invidiabile.

Ma (mi costringe a ripeterlo) Suttora a parte, si potrebbe continuare a lungo coi vantaggi: avremmo finalmente una linea porta a porta: Porta Genova – Porta Romana – Porta Venezia. E per far contenti i cattolici avremmo anche una linea di santi: Ambrogio, Agostino, Babila, Cristoforo, Donato, Leonardo e Siro, sacro capolinea del tempio calcistico. Ma nell’aula di Palazzo Marino la minoranza di destra si oppone: per i consiglieri di Pdl e Lega all’ordine alfabetico andrebbe preferito quello più equo del sorteggio a caso delle stazioni, giorno per giorno. In questa maniera gli utenti godrebbero di assortimenti a sorpresa ritrovandosi ogni mattina in un posto diverso, con effetti benefici sul loro umore. Gli uomini della giunta Pisapia hanno lasciato trasparire dei dubbi circa tali presunti effetti benefici, giacché l’utente, per quanto soddisfatto della piacevole sorpresa all’andata, si troverebbe poi in grave disagio al ritorno a casa la sera, dovendosi affidare al caso determinare la sua destinazione.

In questo quadro di caos, come sempre fuori dal coro i radicali, che sono ricorsi direttamente alla magistratura per chiedere il blocco di qualsiasi “demenziale cambiamento all’attuale sequenza di stazioni della metropolitana milanese”, si legge nella richiesta urgente di ingiunzione presentata al palazzo di giustizia, appellandosi alle leggi che regolamentano le poste. Le poste infatti, in tutte le stravaganti soluzioni prospettate di riordino delle stazioni, dall’ordine alfabetico al sorteggio a caso, ne soffrirebbero danni economici e morali per i cambiamenti repentini di CAP, fino al punto che i portalettere morirebbero come mosche scontrandosi tra di loro in motorino. Se dunque il metrò per adesso resterà così com’è - respingendo l’innovazione a causa della miopia conservatrice dei radicali e dei magistrati comunisti che ci vorrebbero tutti uguali sullo stesso treno verso la destinazione abituale -, lo si dovrà a un cavillo dell’ottocentesco Codice di Avviamento Postale Protetto e Assicurato sui Trasporti Ovini, noto per brevità con la sua sigla, il famigerato CAPPATO.

Il Codice era originariamente concepito per garantire un adeguato recapito postale, protetto da assicurazione, delle numerose pecore che all’epoca venivano spedite su e giù per la penisola, che allora era ancora un regno. I tempi sono molto cambiati: oggi i cittadini della repubblica e clienti della metropolitana milanese non sono pecore in un regno! Per questo chi frequenta questo blog sa come mi sia sempre espressa per l’eliminazione del CAPPATO, spingendomi a suggerire diverse forme pratiche di cappaticidio che ne contemplino il supplizio, e a questo dovere civico cercherò di non venire mai meno, da oggi anche in nome dell’innovazione nel trasporto pubblico meneghino.


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